CONTROSCENA

Proietti fra Eduardo e Nino Taranto


Lo dico subito (così posso tirare il fiato) e in breve (perché ho poco spazio a disposizione). E cioè: alla luce dello show che presenta all'Augusteo, «Di nuovo buonasera... a tutti», dico che bisognerebbe conferire a Gigi Proietti la cittadinanza onoraria spettacolare di Napoli. E aggiungo - a costo d'essere pubblicamente lapidato nel cortile del Maschio Angioino - che, per quanto riguarda la tecnica e la versatilità espressiva, occorre riconoscere in lui, pur romano de Roma a 24 carati e consanguineo puro di Petrolini, un degnissimo erede di Viviani e Nino Taranto.   Non per caso, a far da cornice allo show in parola è proprio quel varietà (completo, qui, di girls e boys) che trovò nell'antica Partenope la sua indiscussa capitale e in cui eccelsero, per l'appunto, Don Raffaele e il Commendatore per antonomasia. D'altronde, che Proietti rivolga uno sguardo privilegiato a Napoli viene dimostrato dal fatto che lo spettacolo s'apre con una rivisitazione creativa e irresistibile (vedi l'invenzione surreale del cappello che Michele non riesce ad appendere all'attaccapanni) dell'atto unico di Eduardo «Pericolosamente»; e, a ribadire l'omaggio alla nostra più accorsata tradizione, arriva persino un'inconfondibile macchietta, quella «E non sta bene» di Pisano e Cioffi che fu, giusto, uno dei grandi successi di Taranto.   Per il resto, i cavalli di battaglia che - a partire da «A me gli occhi, please» - nei trentacinque anni successivi abbiamo visto e rivisto: dalla lezione sulla «carrettella» alla parodia del cantante sudamericano di bolero, dal vecchio incasinato tra le favole all'amara riscrittura di «Questo amore» di Prévert firmata dall'indimenticabile Roberto Lerici. Attenzione, però. Vanno applicate a questi pezzi le stesse parole che Calvino riservò a certi libri: «D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima».   Accanto al mattatore (capite, adesso, perché il teatro di Proietti batte la televisione di Fiorello?) si distinguono pure le figlie Carlotta e Susanna e i napoletani Marco Simeoli e Loredana Piedimonte. E sulle acclamazioni è inutile insistere.                                         Enrico Fiore(«Il Mattino», 3 dicembre 2011)