CONTROSCENA

Siani, la comicità del presente


Il comico della porta accanto. Così, in estrema sintesi, potremmo definire Alessandro Siani, che ancora una volta sta spopolando, all'Augusteo, con un esaurito dopo l'altro. E del resto, a suggerire e comprovare tale definizione è già il titolo di questo suo nuovo show, «Sono in zona»: che non contiene l'indicazione di un tema, l'annuncio di un discorso o (ce ne scampi e liberi l'Iddio del teatro) la minaccia di un messaggio, ma solo la comunicazione di una presenza abituale e rassicurante. In breve, quel titolo richiama proprio il saluto che - spesso distrattamente, ma sempre nell'aspirazione inconscia a un'appartenenza - ci scambiamo col vicino di casa sul pianerottolo o per le scale.   Non a caso, infatti, manca nel repertorio di Siani quello ch'è uno degli espedienti più tipici del comico di tradizione: la «carrettella», che consiste nel rilanciare la battuta, aggiungendovi altri particolari, sull'onda della risata che ha suscitato. Le battute di Siani non hanno sviluppo. Si susseguono rapidissime - ciascuna in sé conclusa e del tutto autonoma - come semplici «momenti», con lo stesso pulsare immemore dei giorni convulsi che oggi ci toccano. Valga l'esempio delle tre iniziali, nell'ordine uno sfottò cameratesco («Porti un maglione coi rombi e hai il coraggio di stare seduto in prima fila?»), un accenno alla crisi economica («C'è stato uno che ha messo i numeri sugli struffoli») e una frecciata contro la «casta» («Prima avevamo Tremonti, adesso un Monti solo»).   La dimostrazione di tutto questo sta nel fatto che diminuiscono, la frequenza e l'intensità delle risate, quando Siani e i suoi compagni di scena (Salvatore Misticone, Francesco Albanese e Claudia Miele) propongono lo sketch degli equivoci a catena fra uno che parla di una Vespa da vendere e un altro che parla di una ragazza da sposare. Perché si tratta di uno dei pezzi forti del varietà napoletano, adottato con infinite varianti (i Giuffré, poniamo, al posto della Vespa mettevano una casa) da molti protagonisti storici del genere; e dunque, con esso entra in gioco qualcosa di più profondo e di meno riconoscibile da parte dei ragazzi attestati sul terreno dell'identificazione speculare e passiva col proprio beniamino: qualcosa che si chiama teatro.   Un distacco sensibile accoglie, naturalmente, anche l'amaro/amorevole monologo finale dedicato dal mattatore a Napoli. E insomma, la comicità di Siani è una fotografia del nostro tempo: che conosce mode e non idee, rabbie e non ribellioni, esaltazioni e non gioie. E che, alla fine, cammina solo al ritmo di respiri solitari.                                                 Enrico Fiore(«Il Mattino», 1 gennaio 2012)