CONTROSCENA

La Duse come mito romantico


Circa «Eleonora, ultima notte a Pittsburgh» - presentato dalla Compagnia Italiana e dal Teatro Franco Parenti nel Ridotto del Mercadante - l'analisi e il giudizio che ne discende vertono, necessariamente, su ciò che nello spettacolo abbonda e su ciò che invece vi manca.   C'è - sulla traccia del testo di Ghigo De Chiara, tutto interno all'aneddotica della tradizione - il racconto minuzioso della vicenda privata e pubblica della Duse: i suoi uomini (dal marito Tebaldo Checchi a Boito e D'Annunzio), la tosse che la tormentò sin da bambina, le diatribe con colleghi e impresari, i successi e gli scoramenti, il rapporto d'amore e d'odio con il «mostro» seduto in platea, il freddo nei camerini, i dubbi ricorrenti sul proprio mestiere, e così via dettagliando. C'è, poi, la regia diligente di Maurizio Scaparro, riscontrabile negli emblemi canonici del teatro e dell'attore (il sipario e i bauli delle tournée) collocati in bella mostra accanto al letto disfatto, alla poltrona e allo scrittoio della protagonista. E infine c'è, s'intende, l'ottima prova di Annamaria Guarnieri, giocata sul sapiente alternarsi dei toni e dei registri espressivi.   Ma, nell'immaginario amarcord della celeberrima diva colta nella sua stanza d'albergo e nell'imminenza della morte, è molto di più, e molto più decisivo, quello che non appare. Manca, soprattutto, la follia  - tra il dionisiaco, il mistico (ne parlò Gobetti a proposito dell'interpretazione della Duse ne «La donna del mare» di Ibsen) e il demoniaco - che costituisce la verità estrema del grande attore. È la follia a cui pensava Eleonora nel rilevare «... quale cosa meschina è il teatro, quando non si sale all'ultimo girone».   Quella frase, però, nello spettacolo non la sentiamo. E in compenso sentiamo la Duse che di Sarah Bernhardt dice: «Che arte superba, la sua!». Ma non dimostrò, tal George Bernard Shaw, che in materia di recitazione la nostra Eleonora la pensava e si comportava esattamente all'opposto della sua illustre rivale d'oltralpe?   Insomma, c'è un'aura buonista intorno a questo compitino (cinquantacinque minuti) in classe, non a caso allestito nel quadro delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. E di conseguenza, il ritratto di Eleonora Duse qui disegnato si colloca nell'ambito del mito romantico. Ma io penso a un'osservazione di Roberto De Monticelli, l'ultimo maestro della critica teatrale italiana che fu: «Con la Duse non è possibile il sentimentalismo delle rievocazioni».                                                         Enrico Fiore(«Il Mattino», 7 gennaio 2012)