CONTROSCENA

"L'opera da tre soldi" con spaghetti


Dopo il debutto del luglio scorso all'Albergo dei Poveri, torna da stasera, al San Carlo, l'allestimento de «L'opera da tre soldi» firmato da Luca De Fusco. A finanziarlo sono il Napoli Teatro Festival Italia e lo stesso San Carlo insieme con lo Stabile cittadino. E si tratta, dunque, di una vera megaproduzione, che del resto si sposa perfettamente con il dichiarato impianto «all stars» conferito allo spettacolo: Massimo Ranieri nel ruolo di Mackie Messer, Lina Sastri in quello di Jenny delle Spelonche e l'orchestra del Massimo, diretta da Francesco Lanzillotta, a interpretare dal vivo le musiche di Weill.   Vien subito da rilevare, a proposito di quest'impianto, che non meno perfettamente esso s'adegua alla forma di cui Brecht rivestì il suo celebre apologo-favola sulla società capitalistica, oscillante in chiave simbolica tra i finti storpi e ciechi di Peachum e l'interessata amicizia fra il capo dei malavitosi e il capo della polizia, appunto Mackie Messer e Brown: una forma che accoglie il melodramma e l'operetta, il Kabarett espressionistico e la «sophisticated comedy» hollywoodiana, il varietà e il circo, con un occhio a George Bernard Shaw e l'altro a Feydeau.   Ebbene, si potrebbero immaginare interpreti più adatti a un siffatto «mélange» di Lina Sastri, che recita e canta, e soprattutto di Massimo Ranieri, che non solo recita e canta, ma per giunta sa ballare e in rapida successione, nello stesso 1985, ha frequentato in palcoscenico proprio il circo («Barnum», in coppia con Ottavia Piccolo) e il varietà (giusto «Varietà», al fianco di Marisa Merlini, Toni Ucci e Arturo Brachetti)?   Diverso è il discorso circa l'aderenza di tale idea di messinscena allo scopo che si pose Brecht nell'adottare una forma «gastronomica» per eccellenza, appunto quella dell'opera musicale contemporanea. Il drammaturgo di Augusta, proprio in una nota a «L'opera da tre soldi», invitò a praticare la «diffidenza verso il teatro». E in margine ad «Ascesa e rovina della città di Mahagonny» spiegò che occorreva utilizzare quella forma per attaccare «la società che ha bisogno di simili opere».   La regia di De Fusco, invece, assegna a «L'opera da tre soldi» soltanto lo scopo di «essere rappresentata in teatro», non anche quello di «trasformare il teatro». E tanto conduce, peraltro, a qualche sensibile contraddizione.   Manfred Wekwerth, l'allievo prediletto di Brecht e sovrintendente del Berliner Ensemble, trasformava i ladri, i mendicanti e le puttane di Soho in una folla d'immemori «travoltini». Tato Russo ambientava la vicenda fra gl'immigrati napoletani della Brooklyn anni Venti. Pietro Carriglio ci mostrava Mackie Messer sullo sfondo dei tonni e dei pesci spada della Vuccirìa. E a questi esempi di storicizzazione e attualizzazione in termini realistici o addirittura folcloristici, assai opportunamente De Fusco ribatte collocando «L'opera da tre soldi» dentro un panorama di rovine costituito da mucchi di computer e schermi televisivi rottamati.   Ma, poi, la scelta dell'opzione spettacolare totalizzante spinge, poniamo, all'incongrua abbuffata con gli spaghetti prelevata di peso da «Miseria e nobiltà» e schiaffata nel bel mezzo della festa per le nozze fra Mackie e Polly; oppure al fatto che le stranianti didascalie di Brecht vengono comunicate al pubblico per il tramite di pin-up da calendario.   Infine, la cronaca impone che si citi, accanto al mestiere autoreferenziale di Ranieri e della Sastri, l'onesto impegno professionale di Gaia Aprea (Polly Peachum), Ugo Maria Morosi (Geremia Peachum) e Margherita Di Rauso (Celia Peachum), affiancato dalla vivacità della Lucy Brown di Anna Gualdo.                                                     Enrico Fiore(«Il Mattino», 17 gennaio 2012)