CONTROSCENA

Carlo Giuffré e la giacca galeotta


A Pasquale Lojacono l'ultima somma di danaro Alfredo Marigliano gliela lascia non sul tavolo, come da testo, ma nella tasca della giacca «attaccata a un appendipanni» in cui aveva lasciato tutte quelle precedenti. E non si tratta della «giacca da casa» prevista ancora dal testo, bensì della giacca del completo che Pasquale indossa abitualmente.   È la principale invenzione messa in campo dalla regia di Carlo Giuffré per l'allestimento di «Questi fantasmi!» che lo Stabile di Napoli e il Diana presentano al San Ferdinando. Ed è un'invenzione acuta e pertinente, perché chiama in causa l'immobilità che costituisce il tema centrale e decisivo di questa commedia: l'immobilità di una vita chiusa fra parentesi e sostituita (non dimentichiamo le analogie del testo eduardiano con «Tutto per bene» di Pirandello) dalla pratica del travestimento che, nella circostanza, impone l'interesse economico.   Al riguardo, è importante anche un'altra invenzione di Giuffré: la battuta «Mia moglie è bella, è giovane e bella... e mi servono duecentomila lire», che rimanda alla conclusione del commento introduttivo di Eduardo all'edizione televisiva di «Questi fantasmi!» del '62: «Se si ha una moglie bella è necessario credere ai fantasmi».   Per il resto s'accampano, invece, trovate che determinano un surplus di comicità: a cominciare dai nembi e dalle saette verdognoli che circondano Alfredo Marigliano alla sua prima apparizione. E fra le altre modifiche del testo originale si segnalano, ovviamente, quelle dettate dalla differenza fra l'età di Giuffré, 83 anni, e l'età, circa 45 anni, di Lojacono secondo l'autore.   Superfluo, infine, sottolineare la sapienza dei gesti, degli sguardi e delle inflessioni vocali con cui il mattatore costruisce il suo ritratto di quel marito sconfitto e ambiguo, e ambiguo proprio perché sconfitto. Parliamo di una prova d'attore connotata da tutta la forza e da tutto il fascino che derivano da una grande e impareggiabile tradizione.Non a caso, i migliori, accanto a Carlo Giuffré, sono i suoi fedelissimi e, di fatto, suoi allievi: Piero Pepe, che dona all'«anima nera» del portiere Raffaele un'insinuante pigrizia carica di fiele, e Claudio Veneziano, ben attento a rendere, di Gastone Califano, nevrosi e falsi moralismi.   Al termine della «prima» gli applausi, frammisti alle grida di «bravo», sono stati tutti per il protagonista. Il quale, ringraziando, si è detto emozionato: perché, ha spiegato, «sto sul palcoscenico del mio maestro».                                           Enrico Fiore(«Il Mattino», 30 gennaio 2012)