CONTROSCENA

Albertazzi-Picasso, o del Teatro


Presentato al Nuovo nell'aprile dell'85, lo spettacolo basato su «Il desiderio preso per la coda», la sofisticata commediola surrealista scritta da Picasso, costituì l'ulteriore conferma del valore di Falso Movimento, il gruppo di giovani, guidato da Mario Martone, che rientrava fra le punte di diamante della più avanzata sperimentazione teatrale italiana. E adesso ritroviamo quel testo come cuore di «Cercando Picasso», lo spettacolo, in scena al Bellini, di cui è protagonista l'ottantottenne Giorgio Albertazzi.   È di lui, allora, che bisogna parlare, più che dell'accurata regia di Antonio Calenda e delle splendide coreografie offerte dalla Martha Graham Dance Company. In questi ultimi anni Albertazzi sta impegnandosi in uno strenuo a corpo a corpo con la morte, attraverso l'interpretazione (e non a caso con la guida di un regista «estremo» come Antonio Latella) di personaggi, in tal senso assolutamente emblematici, quali Achab e Lear. E dunque, più che l'attore acclarato da una carriera prestigiosa, Albertazzi è - puramente e semplicemente - il Teatro.   Infatti, quando, nella circostanza, dice con Picasso che ogni opera finita è (come la forma di Pirandello) una morte, allude a quelle che sono - inestricabilmente accoppiate - per l'appunto la grazia e la maledizione del Teatro, costretto a fingere la vita (e cioè a morire) nel momento stesso in cui vive. E quando, poi, si sofferma (stavolta con parole sue) sulla differenza sostanziale che esiste fra il limitato guardare e l'infinito vedere, forse che non riprende l'istanza suprema di Edipo, un altro dei personaggi ultimi da lui interpretati? Il figlio di Laio, dovremmo saperlo, s'acceca non perché non vuole più vedere, ma perché, giusto, vuole vedere oltre il limite dei significati dati.   Una doppia identificazione, insomma, benedice lo spettacolo proposto al Bellini: quella del pittore Picasso con il proprio testo (vedi la fisicità richiamata dai nomi dei personaggi, Piede Grosso, Cipolla, La Torta, Il Puntale Rotondo…) e quella dell'attore Albertazzi con la propria consistenza d'uomo. Il duende di Lorca diventa, così, lo spirito del dubbio salvifico che sempre sottendono le imprese libere, ed alte perché tali.                                       Enrico Fiore(«Il Mattino», 15 marzo 2012)