CONTROSCENA

Addio a Cobelli il dissacratore


Giancarlo Cobelli - spentosi ottantaduenne ieri mattina a Roma - nella quadruplice veste di autore, regista, attore e mimo ha sempre, e impareggiabilmente, accoppiato l'intelligenza e il gusto dissacratorio. Basterebbe ricordare il suo allestimento de «La bugiarda» di Diego Fabbri, che vedemmo nel '79 al San Ferdinando con Edmonda Aldini e Duilio Del Prete protagonisti. Mentre nel programma di sala il drammaturgo, cattolico e democristiano, si affannava a sciorinare le persecuzioni che a suo dire gli aveva procurato quella commedia, «graffiante» e «irriverente», lui, Cobelli, letteralmente la seppelliva nel grottesco, trascorrendo da «Bolero Film» e dalle canzoni di Sanremo a un paio di didietro maschili nudi.   Formatosi alla scuola del Piccolo, Cobelli - che pure s'era distinto quale protagonista dell'«Histoire du soldat» di Stravinskij messa in scena da Strehler alla Piccola Scala - raggiunse la prima popolarità con la tv dei ragazzi, creando il personaggio funambolico di Pippotto. E venne, poi, l'autentica esplosione come attore che ottenne nel '59, interpretando al teatro Gerolamo di Milano uno spettacolo, appunto «Cabaret '59», che aveva preparato insieme con Giancarlo Fusco. Ma occorre passare subito alla fase maggiore di Cobelli, quella che lo vide impegnato come regista.   Dicevo del gusto dissacratorio combinato con l'intelligenza. E l'uno e l'altra insieme Cobelli mise a frutto, tanto per fare un esempio, nell'allestimento di un testo di Shakespeare sottovalutato e quasi dimenticato come «La vita e la morte di re Giovanni». Mentre la guerra, con il suo tremendo carico di ferocia, si riduceva alla sinistra luce rossa che incendiava a tratti le pareti del retropalco, i partecipanti al banchetto di nozze fra Blanca di Spagna e Luigi di Francia si trasformavano in zombies di nient'altro capaci che di barcollare sul ritmo di una spudorata rumba-flamenco.   A sintetizzare il multiforme talento di Cobelli valga, infine, il duplice allestimento di «Macbeth» che - quasi un colpo di prestidigitazione - realizzò nel 2001 a Modena: prima, al Teatro Storchi, la tragedia di Shakespeare e il giorno dopo, al Teatro Comunale, l'opera lirica di Verdi. Il regista milanese si muoveva tra una fisicità estrema (vedi i dettagli delle pratiche igieniche svolte da Macbeth dopo un ferino amplesso con la sua Lady) e la dimensione non meno amplificata del simbolo e, in particolare, dell'incubo (vedi il personaggio del Portiere, un nano nero e mostruoso che sbucava dal sottopalco come dall'inferno). E giusto a proposito delle sue «avventure» liriche, giova ricordare che Cobelli ebbe compagni, sul podio, signori come Muti e Abbado.                                         Enrico Fiore(«Il Mattino», 17 marzo 2012)