CONTROSCENA

Un faro al posto del mondo


Maria Soccorsa, detta Sesella, identifica con il faro l'intera sua esistenza, e addirittura il destino biologico e le funzioni primarie del suo corpo: tanto che, per illustrare un simile rapporto, esclusivo e totalizzante, comincia con l'assimilare quel faro al figlio che non ha mai «sgravato» e finisce col rapportare il battito del proprio cuore all'accendersi e spegnersi del suo fascio luminoso.   È questo il nucleo tematico de «La guardiana del faro», il testo di Francesco Scotto che, ispirato a una storia vera, la Compagnia della Luna presenta al San Ferdinando tre anni dopo il debutto a «Benevento Città Spettacolo». Ed ecco che, avendo messo il suo piccolo mondo al posto del Mondo, Sesella - l'unica donna che in Italia sia stata, per l'appunto, guardiana di un faro - adotta come interlocutori non solo la gatta Principessa e il canarino Procopio, ma persino le carte da gioco (con quel re di coppe ch'è identico a suo padre buonanima) e, se guarda i muri, le crepe (uguali alle rughe sulla faccia delle vecchie del paese) e le macchie di umidità (che diventano, poniamo, i volti di «Gracekelli» e Papa Giovanni).   Si capisce, dunque, che cosa succede quando i fari vengono automatizzati e la Marina Militare comunica a Sesella che deve sloggiare: per Maria Soccorsa significa dover affrontare proprio quel Mondo che fino ad allora aveva cancellato e, in esso, «l'inferno degli altri». Senza parere, insomma, Scotto dona alla vicenda privatissima della guardiana del faro una valenza metaforica, trasformando il racconto in una meditazione sulla vita e sulla morte connotata, insieme, dalla malinconia e dalla tenerezza.   Dal canto loro, la regia di Norma Martelli e le musiche di Nicola Piovani sottolineano tutto questo con intelligenza, precisione e inventiva: giacché, se la Martelli punta sull'interazione fra Sesella e la natura che la circonda (vedi le strida dei gabbiani che accompagnano le sue urla di dolore quando le arriva la lettera di sfratto) e, peraltro, esplicita con forza espressionistica quanto (il suicidio di Sesella) l'autore suggerisce appena, Piovani (e gli fa da spalla l'ottima fisarmonicista Eduarda Iscaro) culla, nel flusso e riflusso del mare, «la notte nera che ruba l'anima / ma al buio fa sognare».   Infine, mi mancano le parole per dire della prova di Angela Pagano. Sapiente e commovente a un tempo, costituisce senz'alcun dubbio un autentico miracolo di tecnica, e soprattutto - nella diaspora dei sentimenti che oggi ci trascina - di poetico afflato umano.                                           Enrico Fiore(«Il Mattino», 29 marzo 2012)