«Napoli e il racconto della sua contemporaneità. Il teatro di ricerca a Napoli fra gli anni Settanta e gli anni Novanta nella fotografia di Cesare Accetta». Questo il sottotitolo della mostra, curata da Maria Savarese, che s'inaugura alle 18,30 di oggi al Pan: e riguarda la superficie dell'evento, ossia i contenuti dell'esposizione individuati sotto il profilo storico. Ma della mostra è assai più importante il titolo, «Dietro gli occhi»: perché riguarda, insieme, il progetto che la ispira e l'idea che il suo artefice ha dell'oggetto preso in esame, per l'appunto il teatro e, in particolare, il teatro di ricerca. Insomma, la mostra di Accetta potrebbe, e ben a ragione, assumere come epigrafe il prezioso aforisma che per «Il libro degli amici» dettò Hofmannsthal: «Bisogna nascondere la profondità. Dove? Alla superficie». E non a caso, d'altronde, lo stesso Cesare Accetta dice: «Il progetto della mostra sul mio archivio di foto di teatro si pone fuori da un'impostazione documentaristica al servizio della cronaca degli eventi, ma, piuttosto, quale traccia di un tempo e di un fermento, facendosi soggetto di ricerca e riflessione sulla fotografia, ripercorrendo emotivamente vent'anni del teatro d'autore, napoletano e oltre». Due parole, di questa dichiarazione, sono assolutamente significanti: «fermento» ed «emotivamente». La prima concerne la natura del teatro sperimentale, che conosce solo l'opzione del presente e, dunque, contemporaneamente vive e muore (ciò che, giusto, è proprio della ricerca) nel momento stesso in cui si fa; e la seconda concerne il rapporto che con quel tipo di teatro stabiliscono le fotografie di Accetta. Ancora non a caso, infatti, la mostra s'intitola come la performance fra teatro e fotografia che nel '92 l'autore realizzò alla Galleria Toledo insieme con Alessandra D'Elia e Andrea Renzi. Le immagini esposte al Pan riguardano, tanto per fare solo qualche nome, il Teatro Alfred Jarry di Mario e Maria Luisa Santella, il Libera Scena Ensemble di Gennaro Vitiello, lo Spazio Libero di Vittorio Lucariello, il Nuovo di Igina Di Napoli e Angelo Montella, il Teatro Studio di Caserta guidato da Toni Servillo, Falso Movimento di Mario Martone, Ruccello, Moscato, Remondi e Caporossi, i Magazzini Criminali di Federico Tiezzi e Sandro Lombardi, la Gaia Scienza di Barberio Corsetti e, naturalmente, Leo de Berardinis. E conclude il percorso espositivo una sezione monografica dedicata, altrettanto naturalmente, ad Antonio Neiwiller. Ma, come ho anticipato, conta soprattutto l'«aspetto» di queste foto. I corpi e i volti appaiono sempre sul punto d'essere inghiottiti dal buio circostante: vedi, per fare un solo esempio, quelli (per giunta sfocati) del Leo e della Perla Peragallo di «Avita muri'», lo spettacolo/non spettacolo che - in linea con quanto ho detto sopra - sprigionava una tremenda vitalità proprio mentre segnava la fine della fondamentale esperienza costituita dal Teatro di Marigliano. Ma il sommario elenco di nomi e gruppi proposto come sintesi della mostra conferma, altresì, ciò che Cesare Accetta aveva annunciato: lui, pur dedicando il massimo dell'attenzione a Napoli, non trascura di spingersi oltre. E in questa scelta, che bandisce ogni miope chiusura campanilistica, sta, poi, la sigla definitiva, ed alta, dell'operazione nel suo complesso. Lo sguardo di Accetta - negandosi alla nostalgia e alla sterile consolazione - diventa quello stesso dei grandi cantori della «finis Austriae» che contemplavano Vienna dall'altura dello Steinhof. E viene in mente che il teatro ritratto nelle foto di cui parliamo possiede l'identica caratteristica della poesia di Trakl: è una fiammella che guizza sul ciglio estremo dell'oscurità e, proprio per questo, brilla della sua luce più intensa. Enrico Fiore(«Il Mattino», 27 aprile 2012)
Il teatro di ricerca nelle foto di Accetta
«Napoli e il racconto della sua contemporaneità. Il teatro di ricerca a Napoli fra gli anni Settanta e gli anni Novanta nella fotografia di Cesare Accetta». Questo il sottotitolo della mostra, curata da Maria Savarese, che s'inaugura alle 18,30 di oggi al Pan: e riguarda la superficie dell'evento, ossia i contenuti dell'esposizione individuati sotto il profilo storico. Ma della mostra è assai più importante il titolo, «Dietro gli occhi»: perché riguarda, insieme, il progetto che la ispira e l'idea che il suo artefice ha dell'oggetto preso in esame, per l'appunto il teatro e, in particolare, il teatro di ricerca. Insomma, la mostra di Accetta potrebbe, e ben a ragione, assumere come epigrafe il prezioso aforisma che per «Il libro degli amici» dettò Hofmannsthal: «Bisogna nascondere la profondità. Dove? Alla superficie». E non a caso, d'altronde, lo stesso Cesare Accetta dice: «Il progetto della mostra sul mio archivio di foto di teatro si pone fuori da un'impostazione documentaristica al servizio della cronaca degli eventi, ma, piuttosto, quale traccia di un tempo e di un fermento, facendosi soggetto di ricerca e riflessione sulla fotografia, ripercorrendo emotivamente vent'anni del teatro d'autore, napoletano e oltre». Due parole, di questa dichiarazione, sono assolutamente significanti: «fermento» ed «emotivamente». La prima concerne la natura del teatro sperimentale, che conosce solo l'opzione del presente e, dunque, contemporaneamente vive e muore (ciò che, giusto, è proprio della ricerca) nel momento stesso in cui si fa; e la seconda concerne il rapporto che con quel tipo di teatro stabiliscono le fotografie di Accetta. Ancora non a caso, infatti, la mostra s'intitola come la performance fra teatro e fotografia che nel '92 l'autore realizzò alla Galleria Toledo insieme con Alessandra D'Elia e Andrea Renzi. Le immagini esposte al Pan riguardano, tanto per fare solo qualche nome, il Teatro Alfred Jarry di Mario e Maria Luisa Santella, il Libera Scena Ensemble di Gennaro Vitiello, lo Spazio Libero di Vittorio Lucariello, il Nuovo di Igina Di Napoli e Angelo Montella, il Teatro Studio di Caserta guidato da Toni Servillo, Falso Movimento di Mario Martone, Ruccello, Moscato, Remondi e Caporossi, i Magazzini Criminali di Federico Tiezzi e Sandro Lombardi, la Gaia Scienza di Barberio Corsetti e, naturalmente, Leo de Berardinis. E conclude il percorso espositivo una sezione monografica dedicata, altrettanto naturalmente, ad Antonio Neiwiller. Ma, come ho anticipato, conta soprattutto l'«aspetto» di queste foto. I corpi e i volti appaiono sempre sul punto d'essere inghiottiti dal buio circostante: vedi, per fare un solo esempio, quelli (per giunta sfocati) del Leo e della Perla Peragallo di «Avita muri'», lo spettacolo/non spettacolo che - in linea con quanto ho detto sopra - sprigionava una tremenda vitalità proprio mentre segnava la fine della fondamentale esperienza costituita dal Teatro di Marigliano. Ma il sommario elenco di nomi e gruppi proposto come sintesi della mostra conferma, altresì, ciò che Cesare Accetta aveva annunciato: lui, pur dedicando il massimo dell'attenzione a Napoli, non trascura di spingersi oltre. E in questa scelta, che bandisce ogni miope chiusura campanilistica, sta, poi, la sigla definitiva, ed alta, dell'operazione nel suo complesso. Lo sguardo di Accetta - negandosi alla nostalgia e alla sterile consolazione - diventa quello stesso dei grandi cantori della «finis Austriae» che contemplavano Vienna dall'altura dello Steinhof. E viene in mente che il teatro ritratto nelle foto di cui parliamo possiede l'identica caratteristica della poesia di Trakl: è una fiammella che guizza sul ciglio estremo dell'oscurità e, proprio per questo, brilla della sua luce più intensa. Enrico Fiore(«Il Mattino», 27 aprile 2012)