Lo spunto lo fornisce la commedia del 1926 «Napoli in frac», nella quale compare un avvocato, Agostino Torre, che accompagna il collega e amico bolognese Peppino Sabatello a visitare la città e i suoi celebri dintorni, da Capri a Sorrento; mentre il titolo («'E feste a mmare») è quello stesso del quadro inserito nella seconda edizione della commedia, datata 1943. Qui, però, parliamo di Viviani. Ed ecco, allora, che già quel «Napoli in frac» viene a costituire la spia d'allarme dell'ironia corrosiva esercitata da Don Raffaele contro il programma di risanamento e abbellimento dell'antica Partenope strombazzato dal fascismo: sicché, poniamo, ricorre l'insistenza sulle strade «sfussecate»; e in parallelo col sarcasmo demistificante, prende il volo, al termine, un fiero richiamo alla dignità collettiva e alla coscienza sociale: «Aspettammo a chi ce dà a campa'? 'A fatica ce l'avimm'a piglia' nuie! E senza contagocce! Ha dda essere 'na funtana spilata, ca mena acqua fresca e ce leva 'a sete a tuttuquante». Ma, ovviamente, «'E feste a mmare» - l'allestimento di Antonella Monetti che il Napoli Teatro Festival Italia presenta al Molo Cappellini di Nisida - punta soprattutto sulla gara di canzoni che, nell'omonimo quadro, prende corpo a bordo di barche illuminate davanti a Palazzo Donn'Anna. Anzi, quella gara diventa nella circostanza un vero e proprio spettacolo d'arte varia, con tanto di presentatore-entertainer e tramato di personaggi, canzoni e numeri di varietà estrapolati anche da altre opere di Viviani. Ora, all'arrangiatore Riccardo Veno e agl'interpreti (fra i quali Salvatore Cantalupo, Antonello Cossia e la stessa Monetti, di gran lunga la migliore) si può riconoscere - per aggrapparci a un assai generoso eufemismo - appena appena la buona volontà. Ma il peggio (e l'inammissibile) è che la battuta citata viene completamente cancellata, e con essa scompare anche il personaggio-chiave di «'E feste a mmare» che la pronuncia: «Il povero poeta», che entra in gara con una canzone basata sui propri guai e alla quale, attenzione, Viviani assegna la vittoria. Così non si rende omaggio a Don Raffaele. Lo si tradisce e basta. Enrico Fiore(«Il Mattino», 13 giugno 2012)
Il Viviani buttato a mare
Lo spunto lo fornisce la commedia del 1926 «Napoli in frac», nella quale compare un avvocato, Agostino Torre, che accompagna il collega e amico bolognese Peppino Sabatello a visitare la città e i suoi celebri dintorni, da Capri a Sorrento; mentre il titolo («'E feste a mmare») è quello stesso del quadro inserito nella seconda edizione della commedia, datata 1943. Qui, però, parliamo di Viviani. Ed ecco, allora, che già quel «Napoli in frac» viene a costituire la spia d'allarme dell'ironia corrosiva esercitata da Don Raffaele contro il programma di risanamento e abbellimento dell'antica Partenope strombazzato dal fascismo: sicché, poniamo, ricorre l'insistenza sulle strade «sfussecate»; e in parallelo col sarcasmo demistificante, prende il volo, al termine, un fiero richiamo alla dignità collettiva e alla coscienza sociale: «Aspettammo a chi ce dà a campa'? 'A fatica ce l'avimm'a piglia' nuie! E senza contagocce! Ha dda essere 'na funtana spilata, ca mena acqua fresca e ce leva 'a sete a tuttuquante». Ma, ovviamente, «'E feste a mmare» - l'allestimento di Antonella Monetti che il Napoli Teatro Festival Italia presenta al Molo Cappellini di Nisida - punta soprattutto sulla gara di canzoni che, nell'omonimo quadro, prende corpo a bordo di barche illuminate davanti a Palazzo Donn'Anna. Anzi, quella gara diventa nella circostanza un vero e proprio spettacolo d'arte varia, con tanto di presentatore-entertainer e tramato di personaggi, canzoni e numeri di varietà estrapolati anche da altre opere di Viviani. Ora, all'arrangiatore Riccardo Veno e agl'interpreti (fra i quali Salvatore Cantalupo, Antonello Cossia e la stessa Monetti, di gran lunga la migliore) si può riconoscere - per aggrapparci a un assai generoso eufemismo - appena appena la buona volontà. Ma il peggio (e l'inammissibile) è che la battuta citata viene completamente cancellata, e con essa scompare anche il personaggio-chiave di «'E feste a mmare» che la pronuncia: «Il povero poeta», che entra in gara con una canzone basata sui propri guai e alla quale, attenzione, Viviani assegna la vittoria. Così non si rende omaggio a Don Raffaele. Lo si tradisce e basta. Enrico Fiore(«Il Mattino», 13 giugno 2012)