CONTROSCENA

In famiglia tra Almodóvar e Strindberg


«La omisión de la familia Coleman (L'omissione della famiglia Coleman)» - il testo di Claudio Tolcachir che il Napoli Teatro Festival Italia ha presentato al Mercadante nell'ambito del «focus» sulla nuova drammaturgia argentina - si basa su un'iperbole surreale che, esasperando fino al parossismo i dati della situazione e della trama proposte, li rovescia esattamente nel loro contrario.   Siamo di fronte a una famiglia della quale - oltre alla nonna, l'unica lucida - fanno parte la figlia Memé e i quattro nipoti Verónica, Damián, Gabi e Marito: cinque personaggi che definire schizzati è un generoso eufemismo. E a dire dell'atmosfera in cui si agitano e farneticano basterebbe il coro spensierato che, nel giorno del compleanno, rivolgono alla nonna sebbene lei stia per essere ricoverata in ospedale. Esclama Gabi: «Auguri, nonna. L'ambulanza sta arrivando».   Insomma, davvero «una famiglia normale», come dichiara al dottore Memé: tanto «normale» che, come subito dopo racconta allo stesso dottore Marito, «ieri durante la cena la mia mamma mi ha infilzato un coltello nel braccio». E certo, la comicità dilaga irresistibile: vedi, una per tutte, la sequenza in cui figlia e nipoti si fanno il bagno in ospedale perché a casa gli hanno tagliato il gas. Ma, poi, la nonna muore e si scopre che Marito ha la leucemia. E l'ultima scena - in una circolarità che è quella di un'esistenza immobile e ineffettuale - lo coglie, precisamente come nella prima, seduto sul divano ad aspettare che accada qualcosa.   Di conseguenza, l'efficace regia dello stesso Tolcachir mette tutti insieme, senza soluzione di continuità, gli ambienti e gli arredi contemplati dal plot: il soggiorno e il divano di casa Coleman accanto alla stanza d'ospedale e al letto in cui giace la nonna. E implodono, naturalmente, gli scoppi di violenza - tanto frequenti quanto futili - tra la madre e i quattro figli.   Il tutto, in breve, appare calato in una temperie almodóvariana che, però, non è immune dai veleni degli interni/inferni familiari di Strindberg. E a un simile risultato concorre in misura determinante anche la prova eccellente degl'interpreti: da citare, accanto al protagonista Lautaro Perotti (Marito), almeno Inda Lavalle (Verónica) e Miriam Odorico (Memé).                                  Enrico Fiore(«Il Mattino», 18 giugno 2012)