«È la verità. Dico che è la verità. Ma dico anche che dipende dai punti di vista, c'è più di una verità, ecco cosa intendo dire. Dico solo che è tutto soggettivo, c'è la verità e c'è quello che la gente crede che sia la verità». È questa la battuta-chiave di «Taking care of baby (Prendersi cura del bambino)», il dramma dell'inglese Dennis Kelly che, ispirato a una storia vera, ha debuttato al Nuovo nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia. A pronunciare la battuta citata è lo psicologo dottor Millard, chiamato ad esaminare una madre trentenne, Donna McAuliffe, accusata di aver ucciso i suoi due bambini. Ma, evidentemente, si tratta di una battuta che traduce la posizione e gl'intenti dell'autore, il quale - dichiarando di aver ricavato il testo, parola per parola, da interviste e corrispondenza - mette in campo un vero e proprio dibattito fra i rappresentanti emblematici dei colpevolisti, degli innocentisti e, naturalmente, di quel circo mediatico che sfrutta sia gli uni che gli altri. Accanto a Millard, il quale sostiene che Donna è affetta dalla sindrome di Leeman-Keatley e, dunque, non è imputabile, compaiono infatti un marito, Martin, convinto al contrario che la moglie sia una Medea senza scusanti, un reporter a caccia del proverbiale scoop e in mezzo - a far la parte di una società cinica che giudica solo in base al tornaconto - Lynn Barrie, la madre di Donna, che si preoccupa soprattutto dell'impatto che la vicenda potrebbe avere sulla campagna elettorale in cui è impegnata. E tutti si ritrovano, a turno, davanti a un intervistatore che rappresenta, è ovvio, le certezze e i dubbi della pubblica opinione. Di qui la regia di Fabrizio Arcuri: buona parte del testo tradotta in video, reiterate incursioni degli attori fra il pubblico, una telecamera a circuito chiuso che trasforma gli spettatori in sala nell'uditorio di una conferenza di Millard. Ma è una regia senza emozione. E tocca a un'assai brava (soprattutto in video) Isabella Ragonese rendere la sofferenza, lo smarrimento, l'ambiguità e le reticenze di Donna. Al suo fianco, fra gli altri, la non meno convincente (soprattutto dal vivo) Francesca Mazza nell'altrettanto complesso ruolo di Lynn. Enrico Fiore(«Il Mattino», 22 giugno 2012)
Quella madre vista come una Medea
«È la verità. Dico che è la verità. Ma dico anche che dipende dai punti di vista, c'è più di una verità, ecco cosa intendo dire. Dico solo che è tutto soggettivo, c'è la verità e c'è quello che la gente crede che sia la verità». È questa la battuta-chiave di «Taking care of baby (Prendersi cura del bambino)», il dramma dell'inglese Dennis Kelly che, ispirato a una storia vera, ha debuttato al Nuovo nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia. A pronunciare la battuta citata è lo psicologo dottor Millard, chiamato ad esaminare una madre trentenne, Donna McAuliffe, accusata di aver ucciso i suoi due bambini. Ma, evidentemente, si tratta di una battuta che traduce la posizione e gl'intenti dell'autore, il quale - dichiarando di aver ricavato il testo, parola per parola, da interviste e corrispondenza - mette in campo un vero e proprio dibattito fra i rappresentanti emblematici dei colpevolisti, degli innocentisti e, naturalmente, di quel circo mediatico che sfrutta sia gli uni che gli altri. Accanto a Millard, il quale sostiene che Donna è affetta dalla sindrome di Leeman-Keatley e, dunque, non è imputabile, compaiono infatti un marito, Martin, convinto al contrario che la moglie sia una Medea senza scusanti, un reporter a caccia del proverbiale scoop e in mezzo - a far la parte di una società cinica che giudica solo in base al tornaconto - Lynn Barrie, la madre di Donna, che si preoccupa soprattutto dell'impatto che la vicenda potrebbe avere sulla campagna elettorale in cui è impegnata. E tutti si ritrovano, a turno, davanti a un intervistatore che rappresenta, è ovvio, le certezze e i dubbi della pubblica opinione. Di qui la regia di Fabrizio Arcuri: buona parte del testo tradotta in video, reiterate incursioni degli attori fra il pubblico, una telecamera a circuito chiuso che trasforma gli spettatori in sala nell'uditorio di una conferenza di Millard. Ma è una regia senza emozione. E tocca a un'assai brava (soprattutto in video) Isabella Ragonese rendere la sofferenza, lo smarrimento, l'ambiguità e le reticenze di Donna. Al suo fianco, fra gli altri, la non meno convincente (soprattutto dal vivo) Francesca Mazza nell'altrettanto complesso ruolo di Lynn. Enrico Fiore(«Il Mattino», 22 giugno 2012)