CONTROSCENA

La "Caina" che fa sparire gli annegati


È concretissimo e visionario insieme il testo di Davide Morganti, «Caina», presentato nell'ambito della rassegna «Benevento Città Spettacolo». Si parte da faccende che letteratura, teatro e cinema ci hanno reso più che note (la camorra, la guerra tra i poveri, l'immigrazione clandestina, i rigurgiti xenofobi) e si arriva alla loro deflagrazione sul piano del surreale (la ex killer del titolo che si scontra con l'abusivo tunisino Nahiri mentre raccolgono in mare i cadaveri degli extracomunitari annegati affinché non giungano sulla spiaggia ad offendere gli occhi dei turisti).   Il pregio non comune del testo di Morganti sta, quindi, nel fatto che l'approdare del risaputo sulle sponde della metafora e dell'iperbole lo preserva da ogni lenocinio naturalistico e da ogni deriva populistica. E un'altra bella (e giusta e conseguente) idea risiede nel paradosso per cui proprio la morte diventa la vita di Caina: che infatti esorcizza la sua solitudine ascoltando, nella testa e nel cuore, i fantasmi degli annegati che va raccogliendo, prima fra tutti la Zahidah con la quale a più riprese parla e s'accapiglia.   Ebbene, mi sembra che, rispetto a tutto questo, Stefano Amatucci metta in campo - com'era necessario - una regia nello stesso tempo precisa e inventiva: a cominciare dall'aspetto figurativo conferito a una Caina che, capelli argentati a caschetto e gambe inguainate di rosso, suggerisce il paragone con una cantante neomelodica proiettata dai Quartieri Spagnoli nello spazio intergalattico.   Ecco, la quotidianità che si fonde con la sua deformazione fantastica: vedi, tanto per riassumere, quel fondale su cui campeggia dall'inizio alla fine l'enorme disco di una luna che si presenta, sì, col suo faccione proverbiale, ma poi, ad intervalli più o meno regolari, diventa la madre di tutti gl'incubi (partorendo mostri) o, alternativamente, il catalizzatore del disgusto minimo (ospitando un viavai di scarafaggi).   Infine, molto impegnati e appropriati nella gestualità risultano i due interpreti Luisa Amatucci (Caina) e Gabriele Saurio (Nahiri). Peccato che, a tratti, non facciano distinguere bene quello che dicono. Forse è troppo alto il volume della colonna sonora di Louis Siciliano. Ma, comunque sia, sta di fatto che quando tocca alla voce registrata di Isa Danieli, che sul filo della sapienza di sempre duetta con la Amatucci incarnando il fantasma di Zahidah, si coglie perfettamente ogni parola.                                            Enrico Fiore(«Il Mattino», 18 settembre 2012)