CONTROSCENA

Un'Antigone paladina dell'eutanasia


Dice il Legislatore: «Anche perduta nei boschi della follia o inabissata nelle profondità di un coma irreversibile la vita ha la sua dignità perché è vita accanto ad altre vite, è questo a darle significanza». Antigone, invece, sostiene che «vita e morte sono degne quando possono essere condotte autonomamente».   È questo lo scambio di battute decisivo dell'«Antigone» di Valeria Parrella, la riscrittura della tragedia di Sofocle presentata al Mercadante nell'ambito della sezione autunnale del Napoli Teatro Festival Italia: contemporaneamente, dà conto, infatti, e del tema qui svolto (l'eutanasia) e della forma in cui viene calato lo svolgimento (una scrittura alta ed antica, tale, cioè, da neutralizzare ogni rischio di retorica derivante dalla connessione con l'attualità: sia quest'ultima il caso di Eluana Englaro o il film, «Bella addormentata», che ad esso ha dedicato Bellocchio).   Dunque, la Parrella immagina che la (vietata dalle leggi correnti) sepoltura di Polinice da parte di Antigone consista nell'arrestare le macchine che lo tengono in vita, artificialmente, ormai da tredici anni. E il fatto che nella circostanza Creonte sia indicato, per l'appunto, solo come il Legislatore lo trasforma, da singolo personaggio dotato di passioni e impulsi, nell'astratta e fredda e immobile metafora della Società in generale e dello Stato in particolare.   Mi pare che la regia di Luca De Fusco sottolinei con adeguata precisione tali pregi del testo. I personaggi, materializzandosi dal buio come soprassalti della coscienza, vengono sovrastati, in quanto corpi, dall'immagine dei loro volti proiettata in primo piano e, così, ricondotti alla propria natura d'idee. Fra gl'interpreti, intensi e giusti Gaia Aprea (Antigone) e Paolo Serra (il Legislatore), ma troppo realistici Antonio Casagrande (Tiresia) e Nunzia Schiano (la detenuta).                                             Enrico Fiore(«Il Mattino», 28 settembre 2012)