CONTROSCENA

Janara e il giacobino nel rito della nudità


Ne «Il baciamano» - il bel testo di Manlio Santanelli che l'Erre Teatro presenta ancora oggi al Sancarluccio per la regia di Antonio Grimaldi - compaiono due personaggi che più diversi non potrebbero essere: una lazzara sanfedista dal nome emblematico di Janara e un gentiluomo giacobino portatole incaprettato dal marito affinché lei lo uccida, lo cucini e lo ammannisca come pranzo per la perennemente affamata truppa familiare.   Li accomuna, però, il disperato tentativo di esorcizzare - imprigionandoli in una forma consolatoria per sempre data e per sempre riconoscibile, e imprigionandoveli attraverso un rito - il dolore e la degradazione della vita. Infatti, il gentiluomo (ricordate Sheherazade?) chiede a Janara di raccontargli una favola e Janara gli chiede, in cambio, di farle quella cosa che, una volta, vide fare davanti a Palazzo Reale da un signore raffinato ed elegante come lui a una signora bella - attenzione - «quanto Maria Vergine»: appunto il baciamano.   Ebbene, il tema dello scarto tra la forma e la realtà - di ascendenza pirandelliana, ma che Santanelli sposta, come s'è visto, sul terreno dell'iperbole e del paradosso surreali (a partire, appunto, dalla riduzione dei giacobini a cibo consueto per i lazzari) - viene sottolineato dalla regia di Grimaldi con una lettura originale e fondata insieme.   A Janara, prigioniera della fame, e al gentiluomo, destinato a diventare il suo pasto, restano solo la verità e la certezza del corpo. E dunque il rito di cui sopra coincide qui con un uso totalizzante ed esasperato di quest'ultimo, sempre spinto dalla tensione verso la nudità e spesso esposto, sullo sfondo di un'enorme cornice, su un tavolo che (naturalmente) fa venire in mente un altare.   Non a caso, Janara perde l'equilibrio quando si riveste: lo perde poiché, rivestendosi, rientra nella «normalità» codificata ed esce dal cerimoniale in qualche modo onirico (simile a quello di conservare in una cassetta le ossa dei giacobini precedentemente divorati) dell'esibire, per l'appunto, la nudità del corpo. E forse è perciò che gl'interpreti - Annarita Vitolo e Vincenzo Albano - si possono apprezzare esclusivamente sul piano della fisicità.                                            Enrico Fiore(«Il Mattino», 18 novembre 2012)