CONTROSCENA

Paravidino, la vita e la morte fra parentesi


«Per togliere alla morte la sua barbarie, ne feci il mio scopo; e feci della mia vita l'unico modo conosciuto di morire».   Non so se il medico Mariapia Cristofolini conoscesse questa dichiarazione di Sartre. Ma certo la fece propria, mettendola in pratica, quando - ammalatasi di cancro - decise di scrivere il diario della sua agonia. E la prova lancinante di una simile appropriazione sta nello spettacolo, appunto «Il diario di Mariapia», che Fausto Paravidino presenta alla Galleria Toledo: perché Paravidino è il figlio di Mariapia e fu lui, materialmente, a scrivere quel diario ascoltando le parole della madre.   Non a caso, infatti, il prologo chiama in causa la Elena e il buffone dello Shakespeare di «Tutto è bene quel che finisce bene». Poiché tenere un diario significa mettersi in scena, e la scrittura, il «gioco insensato» di Blanchot, significa a sua volta mettere fra parentesi la vita e, dunque, sia la malattia, che della vita costituisce una pausa, sia la morte, che ne costituisce il travestimento estremo.   Non c'era che il teatro, allora, per parlare di quell'ultimo mese e mezzo di Mariapia e del diario che lo riassunse: il teatro che, per sua natura, è costretto a fingere la vita nel momento stesso in cui vive e di fatto muore della sua vita, giacché - per ripetere le parole di Michelstaedter nel ricordo delle pratiche sublimi di Carmelo Bene - «la sua vita è questa mancanza della sua vita».   Di qui, nello spettacolo in questione, il moltiplicarsi dei ruoli affidati a due degli attori e la sfacciata esibizione degli elementi più vistosi del trucco, tipo i baffoni che a un certo punto s'appiccica Paravidino. E adesso, si capisce, passa in secondo piano la bravura dello stesso Paravidino e, accanto a lui, di Iris Fusetti e Monica Samassa. Conta che «Il diario di Mariapia» - nell'alternarsi, come nella vita, del dolore e dell'allegria (ah, la penna d'oca rossa usata per scrivere!) - somigli in tutto e per tutto all'«unicum» di Paravidino: una faccia d'angelo e un cuore di tenebra.                                            Enrico Fiore