CONTROSCENA

Salemme, una farsa che diventa thriller


Dunque, viene riproposta al Delle Palme «...e fuori nevica!» di Vincenzo Salemme, stavolta senza l'autore in scena. E dico subito che lo spettacolo funziona, diverte e lascia pensare insieme: segno evidente che la commedia possiede un suo valore intrinseco, capace di manifestarsi al di là del peso attorale e della simpatia straripante di chi l'ha scritta. Un valore che poi, s'intende, appare ulteriormente esaltato dalla sagacia che Salemme dispiega in quanto regista.   D'altronde, siamo di fronte a uno dei suoi testi migliori. Lo svolgimento della trama (Enzo e Stefano potranno godere dell'eredità lasciata dalla madre solo a patto di prendersi cura per sempre di Cico, un terzo fratello autistico) è connotato da un'efficacissima fusione dei toni farseschi con quelli amari; e altrettanto significativa e decisiva vi risulta la costante e lucida presa di distanza, sul filo dell'ironia, così dal sentimentalismo retorico come dall'intellettualismo supponente.   Assai puntuali, per giunta, si rivelano i riferimenti all'attualità innestati sulla nuova stesura di questa ch'è una delle prime commedie di Salemme. Vedi, poniamo, la frecciata di Cico contro la Germania, «ca ce sta' mettenno 'e piede 'ncapa e va truvanno ca facimmo 'e mmanovre quanno nuje nun tenimmo cchiù 'a machina». E, per il resto, trionfano - adottati con ammirevole inventiva - i meccanismi e gli espedienti canonici propri, giusto, della vecchia, cara e buona farsa napoletana: dalla ripetizione (come nel caso del continuo invito a fumare rivolto da Enzo a Stefano che ha smesso da tempo) agli scambi di parole (come nel caso dei kiwi che prendono il posto dei chili).   Il tutto si colloca in un'atmosfera surreale (gli altri personaggi, a poco a poco, prendono a identificarsi sempre più strettamente con le fantasie monomaniacali di Cico) che, sulla base di una strategia drammaturgica non meno efficace, si volge prima al «thriller» e poi, addirittura, al «noir»: perché Cico, che già aveva confessato d'aver ucciso la madre con la morfina, per non farla più soffrire, con lo stesso mezzo uccide pure i fratelli e se stesso, per tenere unita la famiglia.   Bravissimi, infine, i quattro interpreti: Andrea Di Maria (Enzo), Francesco Procopio (Stefano), Mario Porfito (il notaio) e, soprattutto, un Giovanni Esposito che fa di Cico una tragica marionetta disarticolata che strappa risate irresistibili intinte in un'errabonda malinconia. Successo pieno, naturalmente. E all'uscita, ci mancherebbe, una bella nevicata artificiale.                                                 Enrico Fiore(«Il Mattino», 8 dicembre 2012)