CONTROSCENA

Leopardi fra dee-jay e X Factor


A proposito de «L'infinito», la commedia di Tiziano Scarpa allestita dallo Stabile del Veneto e presentata nella Sala Assoli dalla Fondazione Salerno Contemporanea, il pomposo comunicato stampa parla di un testo «originale e acuto» che procede «fra battute salaci e momenti di potente riflessione». Ma, a conti fatti, se la «salacità» si spinge qui fino alla scatologia, per contro è piuttosto difficile imbattersi in una qualche riflessione, e men che mai «potente».   In breve, s'immagina un incontro fra il ventunenne Leopardi, che ha appena scritto la celeberrima poesia di cui nel titolo, e due suoi quasi coetanei di oggi: Andrea, uno studente svogliato che sta per sostenere gli esami di maturità (dovrà rispondere, manco a dirlo, proprio su «L'infinito»), e la di lui fidanzata Cristina. E sebbene abbia letto con la massima attenzione il testo di Scarpa (comprese le varianti) e le note di regia di Arturo Cirillo, giuro che non sono riuscito a capire se si vuol sostenere che fra il giovane Leopardi e i giovani di adesso c'è una sostanziale identità oppure un abisso.   L'unica cosa certa è che, alla fine, si scopre che quell'incontro Andrea e Cristina l'hanno soltanto sognato. Ma allora a Scarpa e a Cirillo toccherebbe spiegarci per quale misterioso motivo Andrea, che sogna di fare il dee-jay, e Cristina, che sogna di partecipare a X Factor, dovrebbero, contemporaneamente, sognare d'incontrare Giacomo Leopardi. Se la logica non è un'opinione, dovrebbero sognare d'incontrare Claudio Coccoluto e Simona Ventura.   Via. E dal canto suo, la regia di Cirillo, ossequiosa nei confronti del testo fino alla pedanteria, non va molto oltre la riduzione a un gioco di ombre dietro uno schermo semitrasparente delle presunte sequenze osé (Leopardi che va in bagno e i due fidanzati che fanno l'amore).   Resta solo da annotare la recitazione andante dello stesso Cirillo (Leopardi), di Andrea Tonin (Andrea) e di Margherita Mannino (Cristina). E insomma, uno spettacolino ininfluente, se proprio vogliamo dirla con generosità.                                               Enrico Fiore(«Il Mattino», 8 dicembre 2012)