CONTROSCENA

L'autore (Scarpa), il critico e Leopardi


In merito alla mia recensione della sua commedia «L'infinito», Tiziano Scarpa mi ha inviato un lunghissimo, davvero spropositato commento (in pratica un vero e proprio saggio, e pretenzioso, paludato e cavilloso insieme) che, ovviamente, non è possibile pubblicare perché non lo consente il format di questo blog. E dunque, mi limito qui a replicare brevissimamente alle accuse che Scarpa mi rivolge, riassumibili nella seguente: «Mi pare che lei si sia soffermato a recensire più il comunicato stampa che lo spettacolo: con una cartella a disposizione, e per un critico di lungo corso e smaliziato come lei, mi sembra poco rispettoso della sostanza del lavoro degli artisti, che si esprimono con le loro opere. Lasci stare i comunicati stampa, guardi che cosa succede sulla scena...».    Ecco, nell'ordine, le mie sintetiche (e, mi auguro, chiare) risposte.1) Meno male, gentile Tiziano Scarpa, che io avevo a disposizione una cartella: assai spesso, giornali molto più importanti del mio dedicano alle recensioni teatrali appena una decina di righe (vedi quelle pubblicate la domenica, a pie' di pagina, da «la Repubblica»);2) per conto mio (e visto il prepotere dei media giustamente sottolineato da lei), il comunicato stampa è come se facesse parte dello spettacolo: e non ho colpa se esso adotta (perché, al riguardo, lei, in quanto autore, non ha protestato?) gli stessi toni enfatici propri di quei media;3) appunto perché ho guardato che cosa succede sulla scena (e lo faccio ormai da circa mezzo secolo, pare, a detta di molti illustri suoi colleghi, con discreti risultati), mi è sembrato che non vi si potesse riscontrare la dissertazione sui massimi sistemi (il motivo che indusse Leopardi a scrivere «L'infinito», il dovere per l'artista di «sfondare il circolo vizioso» che impone come unica realtà e unica logica quelle partorite dai media, la possibilità che persino la nostra scuola intossicata dal nozionismo faccia scattare un corto circuito fra Leopardi e i giovani smarriti di oggi…) di cui si vanta Scarpa;4) mi sono accorto benissimo delle riflessioni leopardiane disseminate nel testo, quelle di cui non mi sono accorto sono le riflessioni di Scarpa.   Lascio stare, infine, il giudizio (manco a dirlo interessato) di Scarpa circa la «felice» regia di Cirillo e la sua affermazione circa «gli applausi a scena aperta che lo spettacolo raccoglie puntualmente». Alla replica a cui ho assistito io, nella Sala Assoli di Napoli, c'erano i proverbiali quattro gatti, e nemmeno una volta hanno applaudito a scena aperta.   Basta, via. Sarebbe buona norma che gli autori, se hanno qualcosa da dire, la dicessero dal palcoscenico, e possibilmente in maniera comprensibile, per i critici e, soprattutto, per gli spettatori. E concludo ribadendo l'impressione di una sproporzione assoluta fra le ambizioni e la consistenza reale del testo che già provai al cospetto di un'altra commedia di Scarpa, «L'inseguitore», anche quella allestita da Cirillo e che, tanto per intenderci, pretendeva di mettere in scena, addirittura, la «tempesta dei linguaggi» e l'«interrogazione alla pluralità dei saperi».                                           Enrico Fiore