CONTROSCENA

Se l'attore e regista prevale sul filosofo


Furono gli «Entretiens sur "Le neveu de Rameau"», organizzati nel 1967 da Michèle Duchet e Michel Launay, a rilanciare con forza la domanda ineludibile che ci si deve porre davanti al celebre testo filosofico e satirico di Diderot: si tratta di un vero dialogo tra personaggi diversi, individualmente caratterizzati e in sé compiuti, o di un dialogo dell'autore con se stesso? Sembra ormai prevalere la seconda ipotesi, del resto suffragata dal fatto che Diderot attribuisce al suo presunto interlocutore la vita «bohémienne» che, in effetti, aveva condotto lui dopo aver abbandonato l'avvocatura.   Invece, Silvio Orlando - autore con Edoardo Erba dell'adattamento del testo originale, regista e protagonista dello spettacolo tratto da «Il nipote di Rameau» che la Cardellino presenta al Nuovo - propende chiaramente e totalmente per la prima ipotesi. E questo significa che nella circostanza s'accampa l'«esterno» rispetto all'«interno», con il conseguente affermarsi dell'interazione fra i personaggi sull'autoanalisi dell'autore e del realismo sull'astrazione: in una parola, del teatro sulla filosofia e, quindi, dell'attore sul pensatore.   Di qui, tanto per fare un esempio, l'invenzione del personaggio della cameriera, che svolge, appunto, una pura funzione scenica, senza nemmeno incarnare lo sguardo dal basso del «valet de chambre», e di quello del clavicembalista (il puntuale Luca Testa, che esegue, ovviamente, musiche settecentesche). E a tutto tondo, si capisce, è il ritratto che Silvio Orlando disegna - davvero con ammirevole bravura e non minore presa sul pubblico - del «nipote» in questione, straordinario «mélange» di volgare cinismo e follia genialoide. Né demeritano i comprimari Amerigo Fontani (Diderot) e Maria Laura Rondanini (la cameriera).   Ma che cosa rimane, poi, del sistema ideologico e filosofico costituito da «Il nipote di Rameau», tanto complesso e decisivo da aver ispirato, fra gli altri, Dostoevskij, Musil e Beckett? Che cosa rimane della polemica contro il classicismo del «grand siècle» di cui Diderot fu il principale animatore insieme con Lessing? E qual è l'«attualità» che Orlando dichiara di riconoscere al testo del grande illuminista, quella garantita dalla sostituzione della frase originale «si esercita una funzione sociale solo per diventare ricchi» con la battuta «si fa politica solo per diventare ricchi»?   Insomma, al Nuovo si può assistere a un ottimo spettacolo, ma solo a patto di goderselo in quanto tale.                                                 Enrico Fiore(«Il Mattino», 13 dicembre 2012)