CONTROSCENA

Tiziano Scarpa, o della teatronovela


Pubblico oggi quella che, per quanto mi riguarda, è l'ultima puntata di un'incredibile, noiosa e, soprattutto, scontatissima teatronovela.   Il 6 dicembre scorso ho assistito, nella Sala Assoli di Napoli, alla seconda rappresentazione della commedia di Tiziano Scarpa «L'infinito». Erano presenti, insieme con me e con qualche addetto ai lavori, non più di una decina di spettatori, alcuni dei quali invitati e, quindi, non paganti.   Il giorno dopo "Il Mattino", il quotidiano a cui collaboro, mi ha riservato per la recensione di quello spettacolo (pubblicata in data 8 dicembre e riportata in questo blog con il post numero 640) appena 32 (trentadue) righe. Ho dovuto, quindi, riassumere drasticamente ciò che penso de «L'infinito», e per quanto riguarda il testo e per quanto attiene alla sua messinscena da parte di Arturo Cirillo: di conseguenza, mi sono limitato a rilevare la sproporzione fra le iperboliche lodi tessute circa «L'infinito» dall'ufficio stampa della Sala Assoli e la modestia di quello che a me era parso di poter individuare leggendo il testo e assistendo alla sua rappresentazione; e ho aggiunto, in tutta sincerità, che non avevo capito le intenzioni né dell'autore né del regista.   Aggiungo anche, qui, che nessun altro dei critici dei maggiori quotidiani napoletani ha ritenuto di dover recensire lo spettacolo in questione. Forse non sono andati nemmeno a vederlo. E la circostanza significherà pure qualcosa. Ma, invece di apprezzare il fatto ch'ero stato il solo ad occuparmi del suo testo, Tiziano Scarpa ha cominciato a rovesciare su questo blog (pubblicandoli poi sul sito "Il primo amore") tutta una serie di commenti lunghissimi e complicatissimi, cavillosi fino alla maniacalità (vedi il mio post numero 641). E mi ha accusato di averli "cassati", per usare il prezioso termine da lui adoperato, e di mentire quando, per giustificare la loro mancata pubblicazione, ho sostenuto ch'erano di una lunghezza incompatibile con il format di "Controscena".   Ebbene, confermo che i commenti di Scarpa sono incompatibili, per la loro lunghezza, con il format di questo blog: che indica, è vero, un massimo di 30.000 caratteri per ogni commento, ma, di fatto, ne accetta molti di meno. Infatti, sono andati a vuoto tutti i miei tentativi di pubblicarli, i commenti del mio interlocutore, anche se composti, a suo dire, solo da circa 10.000 caratteri.   Dunque, il piagnisteo di Scarpa circa una presunta censura da parte mia è assolutamente inutile e ingiustificato. Ma in ogni caso, dove sta scritto che io sarei obbligato a pubblicare le sue sterminate elucubrazioni? Come ho già avuto modo di far osservare a più di un teatrante, le regole del gioco sono al momento le seguenti: il teatrante presenta in pubblico il suo spettacolo e un signore a ciò istituzionalmente delegato, il critico, esprime circa quello spettacolo il suo parere, certo opinabilissimo, al pari di tutti i pareri, ma che, per ovvi motivi, non può diventare l'oggetto di un dibattito infinito. Può dar luogo, secondo le vigenti leggi sulla stampa, soltanto a una rettifica o a una condanna, qualora, beninteso, il critico abbia pubblicato notizie inesatte o si sia spinto sino alla diffamazione.   Se queste regole vogliamo cambiarle, a farlo io sono dispostissimo. I teatranti non invitino più alle loro "prime" i critici e i critici vadano a vedere gli spettacoli che credono di dover vedere pagando il biglietto come comuni spettatori.   Ma qui mi fermo, intanto per non diventare prolisso come Scarpa e, soprattutto, perché queste mie parole risultano irrimediabilmente superflue: il fatto decisivo è che io, rispetto alla faccenda sul tappeto, sono indiscutibilmente disinteressato, mentre Scarpa invera alla perfezione il fatidico "Cicero pro domo sua", evidentemente convinto, peraltro, di aver scritto una commedia infinitamente, è proprio il caso di dire, superiore a «La locandiera» del suo conterraneo Goldoni. Però, e con questo chiudo davvero, mi sorge comunque un interrogativo: se Tiziano Scarpa è convinto di essere uno dei più grandi autori teatrali di oggi e di aver scritto con «L'infinito» uno strabiliante capolavoro, perché si preoccupa tanto delle miserabili 32 (trentadue) righe di recensione abborracciate da un imbecille come me?                                           Enrico Fiore