CONTROSCENA

Addio a Mico Galdieri, l'impresario artista


Se non temessi di accodarmi all'enfasi becera che troppo spesso marchia la cronaca del nostro tempo, direi che Mico Galdieri - spentosi ieri mattina a 79 anni - è stato, fra gl'impresari teatrali napoletani, una figura nientemeno che leggendaria. E comunque ha incarnato un singolarissimo e prezioso paradosso: quello di un democristiano doc, regolarmente iscritto al partito, che fiancheggiò alcune delle più significative manifestazioni di una ricerca avanzata che, indiscutibilmente, portava le stimmate di una cultura di sinistra in non pochi casi ispirata, se non gestita direttamente, dal Partito Comunista.   Un miracolo, reso possibile da una sensibilità umana e artistica che fu la sigla di un'epoca irripetibile. E basta ricordare, in proposito, che Mico Galdieri tenne a battesimo quel Teatro Esse che, sotto la guida di Gennaro Vitiello, nel 1966 diede l'avvio a tutta la grande storia della sperimentazione: regalò per l'apertura del locale di via Martucci la somma, allora davvero non trascurabile, di un milione e produsse lo spettacolo inaugurale, «La magia della farfalla» di García Lorca. Mico continuava, così, sulla strada che prima lo aveva portato a fondare il teatro Orione, un altro tempio della ricerca, e poi lo avrebbe portato ad officiare il debutto del teatro Totò, in veste di produttore di quell'«Avanspettacolo» che aveva come protagonisti due monumenti della nostra più genuina tradizione quali Isa Danieli e Rino Marcelli.   Proprio l'attenzione che dedicò, insieme, al teatro popolare e a quello impegnato costituì, del resto, la costante dell'attività d'impresario svolta da Galdieri: un'attività che, tanto per fare solo qualche esempio, ha annoverato gli spettacoli della Scarpettiana di Eduardo, i grandi allestimenti firmati da Roberto De Simone (da «La Gatta Cenerentola» a «Festa di Piedigrotta») e messinscene innovative come quella del «Brutto» di Marius von Mayenburg, uno degli odierni autori tedeschi di spicco e «dramaturg» di Ostermeier alla Schaubühne di Berlino. E non diverso fu l'atteggiarsi di Mico in quanto regista: spaziò, sempre per fare degli esempi, da «Il morto sta bene in salute» di Gaetano Di Maio a «L'Astrologo» di Giambattista Della Porta e a «Il matrimonio di Figaro» di Beaumarchais.   Ma la sintesi probante della sua storia di teatrante a tutto tondo, una storia davvero unica e addirittura al limite dell'incredibile, Mico Galdieri la offrì con la direzione artistica del «Settembre al Borgo» di Casertavecchia: tanto per intenderci, nel 1990 affidò a Toni Servillo il compito di aprire la sezione prosa del festival con uno spettacolo, «Natura morta», fondato nientemeno che sugli atti del XXIII congresso del Pcus, quello che sancì l'ascesa al potere di Brezhnev; e, come se non bastasse, a Servillo fece seguito un Vittorio Lucariello che mise in scena «Largo desolato», la commedia di quel Václav Havel ch'era da poco stato eletto presidente dell'Assemblea federale cecoslovacca. Mentre quattro anni più tardi arrivò, nella piazza del Duomo di Casertavecchia, l'immenso Carmelo Bene con la vertigine dei «Canti» leopardiani.   Fu anche un infallibile talent scout, Mico Galdieri. È sufficiente ricordare che scoprì e lanciò Ida Di Benedetto. E il riconoscimento istituzionale di tutto questo venne nel 2002 con la nomina a presidente dell'Eti. Ma una cosa, infine, urge alla mia memoria e al mio cuore: scrissi la prima recensione proprio in occasione dell'apertura del Teatro Esse, e Mico mi spiegò l'importanza che, a determinate condizioni, può assumere il ruolo del critico. Fu una sorta di amicale e affettuoso viatico. E tanto valga a dire che Galdieri s'è distinto pure come un gran signore. I funerali alle 12,30 di oggi nella chiesa del Carmine di Atripalda, la città della madre. Ciao, Mico.                                             Enrico Fiore(«Il Mattino», 16 dicembre 2012)