CONTROSCENA

Razzullo e Sarchiapone coppia da varietà


La sera di Natale era pieno, il Trianon; e molta gente era stata in attesa, fuori, già tre quarti d'ora prima che cominciasse lo spettacolo. Si conferma, dunque, che «La cantata dei pastori» - riproposta ancora una volta da Peppe Barra, nella versione sua e di Paolo Memoli - resta uno dei capisaldi decisivi della nostra tradizione scenica più antica, genuina e culturalmente fondata.   Qui, infatti, si tratta della capacità che ha avuto il popolo napoletano di appropriarsi un modello illustre (nella circostanza «Il Vero Lume tra l'Ombre, overo la spelonca arricchita per la Nascita del Verbo umanato» di Andrea Perrucci) e di piegarlo attraverso i secoli - appunto sotto il nome di «Cantata dei pastori» - dall'originario statuto di sacra rappresentazione, tipica del teatro epico-didascalico ideato e diffuso dai gesuiti nell'ambito della Controriforma, alla propria geografia ideologica e alle proprie coordinate espressive, sulla traccia dell'«improvvisa» codificata dalla Commedia dell'Arte.   Basta considerare che, in quest'adattamento, la coppia Razzullo-Sarchiapone viene dichiaratamente apparentata a quella canonica del varietà, formata dal comico e dalla «spalla»: con il corollario, si capisce, d'invenzioni irresistibili che si spingono fino a un barocco nonsense surreale. Vedi, per fare solo due esempi, il Razzullo che chiama il suo compare «scorza 'e furmaggio rusecata 'a 'nu sorice ricchione» e il Sarchiapone che trasforma l'abracadabra in «apro il cadavere». E le risate, alla «prima», sono state tanto irrefrenabili che spesso lo spettacolo ha dovuto fermarsi.   A questo punto, non occorrono molte parole per sottolineare la sapienza tecnica e l'energia comunicativa che Peppe Barra dispiega nei panni di Razzullo. Efficacissimo anche Salvatore Esposito nel ruolo di Sarchiapone. E fra gli altri, tutti bravi, son da citare almeno Maria Letizia Gorga (la Zingara e l'Angelo), Francesca Marini (la Madonna e Benino), Giacinto Palmarini (Asmodeo e Plutone) e Patrizio Trampetti (il Cacciatore e il Diavolo oste).   Fanno la loro parte, ovviamente, pure le musiche di Roberto De Simone, Lino Cannavacciuolo, Paolo Del Vecchio e Luca Urciuolo. Ma, per concludere, vorrei augurarmi che questo spettacolo possa costituire il viatico per la ripubblicazione de «Il sole e la maschera», la fondamentale analisi antropologica che appunto a «La cantata dei pastori» dedicò Annibale Ruccello: in essa si dimostra, fra l'altro, come proprio Razzullo sia il capofila autentico delle sue figure «deportate».                                                     Enrico Fiore(«Il Mattino», 28 dicembre 2012)