CONTROSCENA

Una partita a carte metafora della vita


Il becchino dice che della prostituta ucraina che frequenta, Irina, non è geloso perché va anche con altri, ma perché racconta anche agli altri le storie che racconta a lui. Ed eccola, la chiave per afferrare il senso profondo di «Els jugadors», il testo del catalano Pau Miró che - intitolato «Jucatùre» nella traduzione in napoletano di Enrico Ianniello - Teatri Uniti presenta nella Sala Assoli.   Quattro personaggi - oltre al becchino, un barbiere, un attore e un professore di matematica - s'incontrano per una partita a carte. Non è la prima e non sarà l'ultima. Ma quei quattro non si giocano soldi, si giocano, giusta la citata dichiarazione del becchino, soltanto parole. E dunque la loro partita a carte è la favola infinita che racconta Sheherazade, è il duello scacchistico che il Cavaliere ingaggia con la Morte ne «Il settimo sigillo» di Bergman.   Insomma, il testo di Miró mette in campo una metafora della vita: della vita che è, per l'appunto, una divagazione in attesa della morte. E le parole che interminabilmente si scambiano i quattro personaggi in questione sono l'equivalente di quelle del rito («Santo, santo, santo il Signore Dio degli eserciti. Benedetto colui che viene nel nome del Signore») che il pastore Tomas Ericsson - il protagonista di un altro capolavoro di Bergman, «Luci d'inverno» - insiste a pronunciare, lui che la fede l'ha perduta, anche in una chiesa ormai vuota.   Sì, siamo di fronte a un gran bel testo; e, di più, a un testo fraterno: nel senso che riconosciamo nei suoi personaggi dei nostri compagni di strada, impegnati come noi nell'eterno esorcismo contro la paura dell'esistere. E la regia, dello stesso Ianniello, lo illustra ed esalta con invenzioni assolutamente pregnanti. A cominciare dalla balbuzie (un eccellente esempio di sottolineatura per contrasto) qui attribuita a quel becchino per il quale, lo abbiamo visto, tanta importanza hanno le parole.   Sempre il becchino, poi, si fa portatore anche di un altro degli acuti segnali trasmessi da Ianniello. Esibisce una camicia senza la benché minima traccia di sangue sul braccio a suo dire colpito da un proiettile durante la rapina in banca compiuta dai quattro: perché, evidentemente, quella rapina è soltanto un trip mentale. E del resto, che si tratti di una recita ad oltranza - e tragica e comicissima insieme - l'aveva annunciato l'ugualmente inventata scena iniziale, con l'attore che finge di sparare contro il nulla.   Più che notevole, infine, la prova degli interpreti: Renato Carpentieri (il professore), ancora Ianniello (il becchino), Marcello Romolo (il barbiere) e Tony Laudadio (l'attore). Davvero uno spettacolo da non perdere.                                              Enrico Fiore(«Il Mattino», 29 dicembre 2012)