CONTROSCENA

Ascesa e rovina del "Pirata" Pantani


«E c'era il sole sul mare... con quell'argento che ti imbarbagliava gli occhi... e in quella luce Marco andava con la mia bicicletta che volava». La battuta - pronunciata dalla madre del «Pirata», e bellissima anche sotto il profilo linguistico - compare in posizione fortemente icastica, nella prima pagina del copione. E dunque lascia immaginare che «Pantani», lo spettacolo in scena al Nuovo su testo e per la regia di Marco Martinelli, si fondi e si sviluppi sul piano di una fusione della cronaca con la poesia.   Ma si rimane ben presto delusi: quella fusione avviene solo in qualche momento, sicché ci tocca parlare di uno spettacolo che per la gran parte non mantiene le promesse e le cui ambizioni, per dirla tutta, si rivelano inversamente proporzionali ai risultati.   Come si sarà intuito, siamo di fronte a una ricostruzione della vicenda complessa e amara di quel Marco Pantani, soprannominato per l'appunto il «Pirata», che, accusato di doping, precipitò dai trionfi al Giro d'Italia e al Tour de France nell'abisso della cocaina, sino a morire per overdose, il 14 febbraio del 2004, in un grigio residence di Rimini. E il testo di Martinelli si schiera senza dubbi di sorta, e con accenti fermissimi, a favore dell'innocenza del campione cesenate.   Ma il punto non è questo. Il punto è che appare un attimino (si dice così, no?) azzardato, o semplicistico, il tentativo di trasformare la parabola di Pantani in una cartina di tornasole di tutte le magagne, di tutte le ambiguità e di tutte le compromissioni del Belpaese, oltre che, si capisce, degli autentici delitti perpetrati dal solito e non meglio precisato Potere. Per una simile strada si arriva al manifesto e al comizio, due cose che, da sempre, al teatro sono assolutamente antitetiche.   Non a caso, infatti, la messinscena si lancia, per quanto riguarda l'aspetto formale, in un triplo salto mortale senza rete che vorrebbe mettere insieme, addirittura, la tragedia greca (vedi i reiterati interventi del coro), il dramma didascalico brechtiano (vedi i titoli dei capitoli proiettati sul fondale a mo' dei famosi cartelli) e l'istruttoria processuale alla Weiss (vedi le arringhe dietro il leggìo del giornalista-pubblico ministero).   Forse, invece, bisognava ricordarsi, circa l'intreccio fra mito e quotidianità, de «Il dio di Roserio» di Testori. E l'ascesa e la rovina (per parafrasare proprio Brecht) del ciclista Pantani non vivono, dunque, che delle belle prove degl'interpreti, primi fra tutti Ermanna Montanari e Luigi Dadina nei panni dei genitori di Marco.                                           Enrico Fiore(«Il Mattino», 24 gennaio 2013)