CONTROSCENA

Ricci/Forte, l'impossibilità della fiaba


Assai più che quelle di Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola, tra le fiabe dei fratelli Grimm è importante, ancorché poco nota, quella di Tremotino, in cui si narra di una regina che sconfigge lo gnomo che la ricattava scoprendone il nome: poiché, secondo un'antichissima credenza, pronunciando il nome di una persona si può avere su di lei un potere magico.   È a questo che rimanda «Grimmless» (ovvero, alla lettera, «senza i Grimm»), lo spettacolo di Stefano Ricci e Gianni Forte in scena al Bellini. Sicché, parafrasando una battuta del loro «Macadamia Nut Brittle» (la vita «è una sit-com a cui hanno tolto le risate»), potremmo adesso dire che la fiaba è una sit-com a cui hanno tolto le parole. E in breve, torniamo, inevitabilmente, alla frattura tra le parole e le cose incarnata una volta per tutte da Don Chisciotte.   Infatti, non servivano forse le parole delle fiabe a mettere i bambini in grado di «possedere» il mondo che ancora non conoscevano? Ora, invece, la conoscenza implode soltanto, nell'evidenza insignificante delle cose in sé. Di qui i corpi di Ricci e Forte, nudi, esibiti, tatuati. E bellissima, oltre che decisiva, risulta l'immagine di quell'enorme membro maschile disegnato sul ventre e sul petto di una donna: il sesso, ormai, si è ridotto alla sua idea, non è più possibile, per l'appunto, nemmeno «chiamarlo» e, quindi, «agirlo».   Di conseguenza, il testo - spesso scandito al microfono come un nevrotico e gelido rap - mescola i riferimenti alle più celebri delle fiabe in questione con la sfilaccia della cronaca, gli slogan della pubblicità e il privato degli attori improbabilmente rivisitato in chiave di thriller; e lo spettacolo - cupo ed ilare insieme, come soltanto il nostro tempo sa essere - si muove fra la clownerie, l'happening e un varietà tanto scalcagnato quanto inesauribile.   Lo riassume ed esalta la sequenza finale. L'oro del ramo di Frazer si riduce alla vernice che i cinque bravissimi interpreti (Anna Gualdo, Valentina Beotti, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, Anna Terio) si spalmano addosso fino a trasformarsi in altrettante vittime di Goldfinger. E già. Nella migliore delle ipotesi, oggi il Principe Azzurro può essere solo James Bond.                                                  Enrico Fiore(«Il Mattino», 3 febbraio 2013)