CONTROSCENA

Due fratelli e i milioni della mafia


Una valigia piena di milioni, che apparteneva a un killer della mafia, è finita invece nelle mani di due fratelli, Gennaro e Peppino, i quali se ne son serviti per rimettere a nuovo la loro pensione e vivere un po' più agiatamente: salvo l'arrivo, con tutto quel che segue, di Carmelo il siciliano, un altro killer spedito dalla «famiglia» a recuperare il malloppo.   Questa, in sintesi, la trama de «Il morto sta bene in salute», la commedia di Gaetano Di Maio che fu uno dei grandi successi del Sannazaro di Luisa Conte e che adesso Pino Moris e Gianni Pinto ripropongono, sempre nella «bomboniera» di via Chiaia, per la regia di Giulio Adinolfi. E s'intende che nella circostanza l'obiettivo sono esclusivamente le risate, con la conseguenza che da un lato resta in ombra la vena amarognola e satirica di Di Maio (qui identificabile nel cinismo, davvero da «mors tua vita mea», che a tratti tenta i due fratelli) e dall'altro s'impongono i lazzi aggiunti al copione originale, sino all'Oscar Di Maio (Gennaro) che trova addirittura il modo di citare il suo famoso Telecafone («faccio venire la fine del monte»).   Va subito aggiunto, comunque, che la compagnia in campo è all'altezza del compito. Al centro del gioco, Gloriana (Nannina, la moglie di Gennaro) dimostra un'apprezzabile misura, soprattutto nelle controscene, e si esibisce finanche in un'acrobatica capriola sulla spalliera del divano. E accanto a lei si distinguono - insieme con Oscar Di Maio, la cui bravura discende «per li rami» (è nipote dell'autore) - il sempre inappuntabile Ciro Capano (nel ruolo, a lui congeniale, di Carmelo), Oscarino Di Maio (Gino Doré), Mario Aterrano (Peppino) e Rosaria Russo (Agatina).   Divertimento assicurato, dunque. Ed è pure il mezzo per tenere vivi una tradizione e il ricordo degli attori incomparabili che interpretarono questa commedia a cominciare dal '75: a parte la Conte, Ugo D'Alessio, Carlo Taranto, Pietro De Vico, Enzo Cannavale, il superstite Rino Marcelli...                                                Enrico Fiore(«Il Mattino», 13 febbraio 2013)