CONTROSCENA

Se il dubbio diventa cabaret


Per la serie «non tutte le ciambelle riescono col buco». Sono gli stessi l'autore del copione (Stefano Massini), il regista (Sergio Fantoni) e i protagonisti (Ottavia Piccolo e Vittorio Viviani). Ma tanto era denso e intrigante il «Processo a Dio» presentato nel 2007 al Mercadante quanto diluito e pesante è questo «L'Arte del Dubbio» adesso presentato al Nuovo.   Il problema è che, mentre «Processo a Dio» era basato su un testo teatrale, «L'Arte del Dubbio» è basato sull'adattamento teatrale dell'omonimo libro di Gianrico Carofiglio. E nel tentativo di rendere teatrale ciò che teatrale in origine non era, qui si dà luogo a un insistito guazzabuglio di temi e forme che obbedisce all'unico imperativo categorico di accumulare per davvero tutto e il contrario di tutto.   Sul palcoscenico è montato un classico teatrino all'italiana debitamente munito di ribalta e di cornice di lampadine accese. E i vari «dubbi» esaminati nella circostanza vi prendono corpo come numeri di varietà, sberleffi da cabaret e performance da cantastorie. Con il corredo di musiche eseguite dal vivo che oscillano, per intenderci, tra la fiera di paese e il club jazzistico.   Così, all'insegna di massime non proprio originali (tipo «Dubita sempre di quello che sembra», «Mai dare nulla per scontato» e «Il dubbio è uno strumento per scoprire la verità»), si trascorre, poniamo, da Adamo ed Eva al processo a un rapinatore, dalle truffe alle assicurazioni alla tragedia della Thyssen, dai pentiti a Hitler e all'assassinio di Don Peppino Diana. E lo stile di recitazione con cui vengono proposti tali variegatissimi argomenti si divide equamente fra l'escursione comica e il manifesto ideologico, peraltro agganciato, nientemeno, a una battuta sull'ormai estinta Rifondazione Comunista.   Un simile florilegio di voli pindarici trova infine l'acme nel passaggio dalla citazione degli «Esercizi di stile» di Queneau al Fantozzi anti-Corazzata Potëmkin. E non restano, insomma, che il mestiere e la bravura, sul piano strettamente tecnico, dei citati Ottavia Piccolo e Vittorio Viviani, accompagnati dal polistrumentista Nicola Arata. Un po' poco, direi.                                            Enrico Fiore(«Il Mattino», 14 febbraio 2013)