CONTROSCENA

Il diavolo di Salemme tra farsa e cabaret


Con ogni evidenza, «Il diavolo custode», la commedia di Vincenzo Salemme in scena al Diana, si prefigge soprattutto lo scopo di far ridere. E certo, non vi mancano gli spunti amarognoli («L'umanità fa a gara per dimostrare che la speranza nel futuro non esiste») e le dissacranti frecciate sarcastiche (il «come diceva Eduardo» sbandierato a sproposito) tipici del miglior Salemme. Ma vengono lasciati lì, privi dello sviluppo drammaturgico che ci si poteva augurare.   Il plot ruota intorno a Gustavo, il gestore del bar Vespasiano che - sommerso dai debiti perché, secondo la moglie Teresa, è troppo onesto («Chillo fa 'e scontrini, 'e fatture») - si vede proporre dal Diavolo del titolo la possibilità di «tornare a nascere e ricominciare daccapo». Ma si tratta, sostanzialmente, di un pretesto per mettere in campo l'intero armamentario degli espedienti coniati in fatto di comicità dallo spettacolo leggero nostrano. Riconoscibilissimi, tanto per intenderci, appaiono al riguardo i modelli forniti dal suggeritore della «Francesca da Rimini» di Petito e dal Tartaglia de «Lo scarfalietto» di Scarpetta.   Mi riferisco ai continui slittamenti di senso surreali determinati dallo scambio delle parole: che so, «la sagra di Ernestina» per la sacrestia, «l'intestino di Dario» per l'intestatario, «il San Tommaso» per il sadomaso... E si capisce, poi, che il divertimento raggiunge l'acme quando arriva, a metà spettacolo, l'happening fra palcoscenico e platea innescato dal mattatore circa la capacità di Gustavo di tradire la moglie. Mentre con il lungo monologo fuori testo che sostituisce il finale (tocca, fra gli altri, i temi ponderosi del tempo, del sesso, della diversità fra l'uomo e la donna) Salemme si sposta decisamente dalle parti del cabaret di stampo televisivo.   C'è persino, trasferito sul terreno dei proverbi, il ricalco del celebre sketch di Proietti sul vecchio che s'incasina tra le favole. E ad esaltare il tutto provvede, naturalmente, l'irresistibile verve attorale di Salemme, ben affiancato da comprimari quali, per fare qualche nome, Domenico Aria (Gustavo), Nicola Acunzo (il diavoletto) e Floriana De Martino (Teresa). Sicché - «hoc erat in votis» - le risate scrosciano, pressoché ininterrotte, dall'inizio alla fine.   Ma insomma… nel dicembre scorso abbiamo rivisto al Delle Palme «… e fuori nevica!». E si rideva lo stesso, e non di meno. Solo che le risate erano fondate sui contenuti, non sulle battute in sé. Ed è quello il Salemme che conta.                                                Enrico Fiore(«Il Mattino», 2 marzo 2013)