CONTROSCENA

Romeo e Giulietta muoiono in flashback


Costumi di fogge che vanno dal secondo dopoguerra all'oggi, inflessioni dialettali varie, coretti da stadio, un gigantesco radioregistratore, il messaggero che arriva in bicicletta, il «trenino» degli invitati alla festa dei Capuleti, l'implodere di una violenza sterile... E su tutto, dall'inizio alla fine, il commento di una fisarmonica e lo sciabolare del seguipersona: ovvero l'abbassamento del tono fino al popolaresco più andante e la sottolineatura della spettacolarità fino agli esiti più eclatanti.   In breve, l'allestimento di «Romeo e Giulietta» diretto da Valerio Binasco (è in scena al Mercadante) ha il gran merito d'inverare perfettamente l'acuto e insuperato giudizio che del celebre testo diede Gabriele Baldini: «... forse non c'è un sol dramma, tra quelli nati alla poesia nella giovinezza di Shakespeare, così disperatamente e tutto di testa, in cui gli effetti siano molto più calcolati di quanto le passioni non siano sofferte».   Infatti, è sin troppo agevole cogliere in «Romeo e Giulietta» i mille «travestimenti» dettati dalle reminiscenze petrarchesche e senechiane, così come - per converso - è facile accorgersi dei riferimenti al realismo del Bandello. Tanto che, in proposito, lo stesso Baldini poté tranquillamente parlare di «un ibrido stilistico». Ma Binasco non si limita, come dicevo, a ribadire e ad illustrare tutto questo.   L'autentico colpo d'ala della sua regia arriva quando - allo scopo di cancellare l'aura melodrammatica che avvolge il finale del Bardo - se ne inventa uno nuovo, e assolutamente persuasivo oltre che sottile: Padre Lorenzo viene arrestato e costretto a raccontare, davanti al principe di Verona e alle famiglie dei due sventurati giovani, come Romeo e Giulietta si sono uccisi, mentre gli stessi Romeo e Giulietta, che giacevano in terra morti, si alzano e rivivono in flashback l'epilogo della loro storia. Senza contare la dichiarata comicità dei reiterati tentativi compiuti da Giulietta prima di riuscire a trafiggersi col pugnale.   S'intende, poi, che all'eccellente risultato raggiunto dallo spettacolo concorre in misura determinante la prova degl'interpreti: a cominciare da quella di Deniz Ozdogan, una Giulietta semplicemente incantevole, tra le migliori che abbia mai visto e in grado da sola di rendere l'assunto registico circa il suo essere, insieme con Romeo, una vera e propria vittima sacrificale. A posto, in un simile quadro di gioventù perduta, anche - per l'appunto - il Romeo di Francesco Montanari. E fra gli altri, son da citare almeno Filippo Dini (Padre Lorenzo) e Milvia Marigliano (la balia).                                                  Enrico Fiore(«Il Mattino», 16 marzo 2013)