CONTROSCENA

Dickinson, la poesia al posto della vita


Lo dico subito. «L'angelo della casa», l'«Omaggio a Emily Dickinson» in scena nel Ridotto del Mercadante, è uno spettacolo importante, perché offre l'opportunità di ripensare a tre concetti-chiave dell'età moderna: la «soglia» (ovvero la dimensione del «transito» e dell'«instabilità»), la frattura tra le parole e le cose determinatasi a partire dal «Don Chisciotte» e il «gioco insensato» in cui, secondo la celebre definizione di Blanchot, consiste lo scrivere.   Infatti, nel testo di Antonella Cilento, ovviamente tramato di poesie e brani di lettere della Dickinson, sono rintracciabili tutti i particolari decisivi (e radicalmente emblematici) che al riguardo risaltano nella sua vita: l'isolamento per circa trent'anni nella casa di Amherst, il colloquio con i rarissimi visitatori svolto solo attraverso lo spiraglio di una porta e il fatto che (tranne sette, per giunta apparsi anonimi) gli oltre 1700 componimenti della poetessa furono pubblicati quando lei era già morta da anni.   In breve, per la Dickinson la poesia prese il posto della vita: e ne fanno fede - a prescindere dal rifiuto di pubblicare (giacché, s'intende, la vita non si commercia) - da un lato l'insistita creazione di parole nuove e dall'altro l'assenza quasi completa della punteggiatura (giacché, s'intende anche questo, la vita non conosce né i ricalchi né le pause).   È a un simile quadro che possiamo riferire l'attenta regia di Giorgia Palombi. Basta considerare la porta montata su ruote (appunto la «soglia» e l'«instabilità») che vaga nello spazio scenico dall'inizio alla fine. E bravi sono gl'interpreti: la stessa Palombi, Susanna Poole, Giancarlo Cosentino e, specialmente, una straordinaria Giovanna Di Rauso/Dickinson, che rende palpabile, fatto carne e sangue, tutto l'umbratile mistero di quella che fu, per dirla con Michaud, «un'anima che fa violenza a se stessa».                                           Enrico Fiore(«Il Mattino», 23 marzo 2013)