CONTROSCENA

Quell'epopea di giugno sotto il Vesuvio


Carlo Cecchi che nella piazza di Ottaviano mette in scena «'A morte dint' 'o lietto 'e don Felice» di Petito. Rafael Alberti che si confronta con Salvatore Esposito, per tutti semplicemente «'o poeta». Il ventenne Annibale Ruccello che propone a Marigliano un suo «Rottami» ispirato a Ionesco. Leo de Berardinis e Perla Peragallo che in piazza Trivio, a Somma Vesuviana, provocano con «Avit' 'a murì» addirittura lo sparo di un colpo di pistola. Gennaro Vitiello che presenta, col titolo «Padrone e sotto», una riscrittura in dialetto sangiuseppese de «Il signor Puntila e il suo servo Matti» di Brecht, con la parte corale affidata al gruppo contadino della Zabatta e le scene di Salvatore Emblema...   È solo qualche esempio, naturalmente. E il fatto che il testo di «Padrone e sotto» sia qui pubblicato per la prima volta potrebbe bastare da solo a rendere interessante «Il Giugno Popolare Vesuviano», il saggio di Rosaria De Angelis edito dalla Libreria Dante & Descartes sotto l'egida del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo presieduto da Antonia Lezza.   La storia (dal '74 all'86) di quello che non fu un festival come gli altri, ossia una semplice vetrina di spettacoli, viene infatti ricostruita dalla De Angelis senza sterili nostalgie e senza alcuna retorica celebrativa, ma per l'appunto sulla base dei documenti. E dunque risalta con forza maggiore l'«unicum» costituito da una manifestazione che - nel solco della fusione creativa dei linguaggi del teatro, della musica, della poesia, della pittura e del cinema - perseguì l'interscambio (lo stesso praticato, giusto, dal Teatro di Marigliano di Leo e Perla) fra la cultura «alta» e quella «bassa» delle tradizioni locali.   Avvenne, così, che - per intenderci - la carica sensuale della tammurriata e l'energia viscerale della sceneggiata si strinsero in un abbraccio tanto imprevedibile quanto fecondo con formazioni e artisti concettuali come, poniamo, l'Akademia Ruchu, il Teatro Odradek, Gardi Hutter, Rodrigue Tremblay e Bob Curtis.   Poi quel libero e fantasioso cantiere multimediale venne chiuso. E però la sua stessa fine fornì una lezione, che dovrebb'essere ascoltata pure oggi: il Giugno Popolare Vesuviano morì non solo e non tanto per la mancanza di appoggio da parte degli enti locali, ma anche e soprattutto perché, anno dopo anno, prese a somigliare sempre di più alle rassegne colonialistiche a cui negli inizi s'era contrapposto.                                             Enrico Fiore(«Il Mattino», 7 aprile 2013)