CONTROSCENA

Riccardo III alla maniera di Frankenstein


Sia chiara una cosa: quello che vediamo al Bellini non è il «Riccardo III» («di William Shakespeare», come dichiara la locandina), ma il «RIII - Riccardo Terzo» (ecco il titolo indicato nella locandina medesima) di Vitaliano Trevisan. E dunque, non siamo di fronte a una traduzione o a un adattamento del testo originale, bensì a una sua vera e propria - e radicalmente autonoma - riscrittura. E basta a dimostrarlo un solo esempio, riferito alla quarta scena del primo atto.   Nel testo di Shakespeare i due sicari discutono fra loro su come portare a termine l'incarico di uccidere il duca di Clarence, mentre nel testo di Trevisan quel dialogo diventa un monologo di Tyrrel, che peraltro, secondo il Bardo, nella scena in questione non compare. E la differenza non concerne soltanto il piano della forma, né si può giustificare col fatto che, nella circostanza, gli oltre sessanta personaggi di Shakespeare se li debbono dividere appena dieci attori e, quindi, occorre tagliarne un po'.   Vale sempre, in proposito, la decisiva analisi di Jan Kott: «Riccardo è impersonale come la storia. Mette in moto il rullo compressore della storia, dopodiché il rullo lo stritola. Riccardo non è neanche crudele. Non rientra in nessuno schema psicologico. È la storia pura. Uno dei suoi capitoli ricorrenti. Non ha volto». E appare del tutto evidente, quindi, che se con la storia il dialogo fra i due sicari c'entrava molto, non c'entra proprio niente il flusso di coscienza attribuito a Tyrrel.   Contraddittoriamente, poi, Alessandro Gassmann mostra, in quanto regista, di rendersi conto del problema. Se Riccardo non ha che il volto che gli assegna il Potere (o, appunto, la Storia), vuol dire che si limita a recitare una parte. È, dunque, un attore. E infatti, il celebre monologo sull'«inverno del nostro scontento» Gassmann lo legge su un foglio che tira fuori dalla tasca, a mo' di ripasso prima di andare in scena.   In quanto attore, invece, Alessandro ci offre (a partire dagli scarponi che lo rendono ancora più alto e dall'andatura barcollante) un Riccardo che somiglia non poco alla Creatura di Frankenstein. Ciò che - se concorda con l'atmosfera gotica in cui è calato l'insieme - fa letteralmente a pugni con il parodistico e il pop della radio, delle sigarette e della fiaschetta di whisky qui esibite, e soprattutto con la scrittura che adotta Trevisan: tramata delle frasi contratte che, sì, sono tipiche dei suoi adorati Beckett e Bernhard, ma, anch'esse, con Shakespeare non c'entrano.                                                        Enrico Fiore(«Il Mattino», 11 aprile 2013)