CONTROSCENA

La Valeri e una stufa simbolo della vita


Un'anziana contessa, accompagnata dalla segretaria Angèle, si trasferisce in un appartamento malandato, che lei crede di sua proprietà per averci abitato anni prima e in cui vive un uomo, Manfred, che dice di esserle figlio. Questa la situazione di partenza che si accampa in «Non tutto è risolto», la commedia di Franca Valeri in scena al Mercadante per la regia di Giuseppe Marini. Ma la vera protagonista non è la contessa, bensì, sotto specie di simbolo, l'enorme e antica stufa che nessuno sa accendere: giacché costituisce, in tutta evidenza, il «trait d'union» fra un imprecisato passato di alto rango e un altrettanto vago presente di ristrettezze.   Non a caso, infatti, a un certo punto la contessa parlerà con quella stufa come se stesse guardando in uno specchio un proprio «doppio». E con essa, giusto in forma d'immagine speculare, stabilirà il paragone in cui riassume il suo amarcord: la stufa bella ma spenta, lei non bella ma sempre accesa.   Ora, non sistematicamente il testo è capace di restare fedele a una simile (e assai intrigante) dimensione metaforica; ed è vero anche che a tratti s'arena, stanti i monologhi in serie dettati dalla necessità di assicurare uno spazio adeguato a ciascuno degli attori in campo. Senza contare i tempi rallentati a loro volta dettati dalla necessità di spostare e bloccare continuamente la sedia a rotelle su cui la Valeri è costretta dopo l'intervento chirurgico all'anca subìto di recente. Ma poi, al di là di ogni carenza, c'è per l'appunto lei, Franca Valeri.   Non è che gli altri (Licia Maglietta/Angèle, Urbano Barberini/Manfred e Gabriella Franchini/la cameriera Milli) non siano bravi. Ma recitano, sono bravi nel recitare. Mentre Franca Valeri - 93 anni di passione per la vita, di lucidità e d'ironia verso il mondo e, soprattutto, verso se stessa - è assolutamente straordinaria proprio perché può permettersi di recitare dando puntualmente l'impressione che non stia recitando. E del resto, non in altro che in questo sta il segreto degli alti traguardi toccati dalla sua lunghissima carriera. Chi sarebbe in grado di pronunciare con la stessa disinvoltura e la stessa civetteria la battuta: «Io avrei dovuto fare l'attrice, entro subito nei ruoli»?   Superfluo, a questo punto, dire degli applausi e delle acclamazioni che la salutano al termine. E lei ringrazia abbandonando la sedia a rotelle e standosene al proscenio - l'ennesimo guizzo ironico - avvolta in una sontuosa pelliccia come una classica diva d'antan.                                              Enrico Fiore(«Il Mattino», 13 aprile 2013)