CONTROSCENA

Se cadono gli aerei del sogno americano


Joe Keller, un piccolo industriale, non ha esitato a fornire all'aviazione statunitense teste di cilindro difettose, facendo precipitare ventuno aerei e, per giunta, incolpando e mandando in galera il socio, padre di quella Annie ch'era fidanzata con suo figlio Larry, anche lui pilota d'aerei. Ed è perciò che Kate, la moglie di Joe, s'ostina a credere (o fa finta di credere) che Larry, ormai da tre anni (siamo nel 1947) dato per disperso in guerra, sia ancora vivo: convincersi (o dichiarare) che sia morto significherebbe ammettere che è stato ucciso dal padre.   Questa, in breve, la situazione che s'accampa in «Erano tutti miei figli» di Arthur Miller. E appaiono subito evidenti due cose: il debito del drammaturgo newyorkese nei confronti di Ibsen (del quale si riprende qui l'inconfondibile procedimento per cui, al cospetto di un presente asfittico, viene rievocato, processandolo, il passato che condiziona quel presente) e la decisa somiglianza di Joe Keller con la Madre Courage di Brecht (della quale coltiva lo stesso lacero cinismo, alimentato dall'illusione di poter comunque trarre profitto dalla guerra e incattivito dall'indifferenza, sinanche, giusto, per la sorte dei propri figli).   Dunque, basterebbero simili ascendenze a dimostrare che Miller è un autore datato: stante, peraltro, la sua ormai scontata constatazione del crollo del «sogno americano», che, non a caso, da «Erano tutti miei figli» passò nell'ancor più datato «Morte di un commesso viaggiatore». E tanto a prescindere dal fatto che, sotto il profilo formale, «Erano tutti miei figli» è il più bel testo di Miller. Siamo di fronte alla classica «pièce bien faite», con una struttura da romanzo poliziesco che avvicina il pubblico alla verità fornendogliene gl'indizi in crescendo e, con ciò, tenendo sempre viva la tensione e sempre sostenuto il ritmo.   Ora, è a questa superficie che, com'era facile prevedere, si attiene Giuseppe Dipasquale, regista dell'allestimento di «Erano tutti miei figli» proposto al Mercadante dallo Stabile di Catania. Parliamo, quindi, di pura narratività, conseguentemente trapunta di tocchi realistici minuti: vedi le (d'altronde incongrue) trasmissioni radio in lingua originale. E in tale dimensione - nell'ambito di uno spettacolo professionalmente confezionato - si colloca la prova degl'interpreti, primi fra tutti Mariano Rigillo (Joe) e Anna Teresa Rossini (Kate).   Fra i comprimari, Ruben, il figlio di Rigillo, nel ruolo di Chris Keller, e Silvia Siravo, la figlia della Rossini (compagna di Rigillo padre), in quello di Annie. E non c'è che dire, siamo al più vero del vero. «Erano tutti miei figli», appunto.                                              Enrico Fiore(«Il Mattino», 23 aprile 2013)