CONTROSCENA

La barbona e il gangster cuor d'oro


Non a caso «La signora delle mele», lo spettacolo in scena all'Augusteo, viene definito nel programma di sala «commedia con musiche» e non musical. Infatti, è basato, più che su un adattamento (per l'appunto nella chiave del musical) di «Angeli con la pistola», su una riscrittura e un ampliamento della novella di Damon Runyon, «Madame La Gimp», da cui venne tratto il celebre film di Capra. E l'idea, in partenza, non era niente male. Ma la strada della sua piena realizzazione incontra due ostacoli.   Il testo di Riccardo Manaò, non riuscendo ad appropriarsi l'ironia scoppiettante di Runyon, si limita a un ricalco anodino della notissima favola centrata su Annie (qui Regina), la barbona zoppa di Broadway soprannominata, giusto, «la signora delle mele», e Dave «lo sciccoso», il gangster cuor d'oro convinto di ottenere fortuna dalle mele che le compra; e, per di più, non poche delle parole di quel testo si distinguono a fatica, nonostante la selva di microfoni che pende dall'alto in aggiunta alle «cimici» indossate dagli attori.   Così, paradossalmente, il musical, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra: nel senso che gli elementi migliori dello spettacolo consistono nelle scene di Bruno Garofalo, che per mezzo di pannelli mobili riproducono le dissolvenze incrociate del cinema, nelle coreografie di Enzo Castaldo, che richiamano la frenetica spensieratezza con cui nella New York a cavallo fra gli anni Venti e Trenta si cercava di dimenticare la grande depressione economica, e - soprattutto - nelle canzoni composte da Nicola Piovani su versi di Vincenzo Cerami, che occhieggiano con disinvolta sapienza ai ritmi dell'«età del jazz» celebrata da Scott Fitzgerald.   Belle e funzionali anche le immagini videografiche di Claudio Garofalo. E per quanto riguarda il foltissimo cast, affidato alla regia dello stesso Bruno Garofalo, gli si possono riconoscere le buone intenzioni e l'impegno: a partire da Marisa Laurito/la Gimp, che dispensa la sua simpatia ad onta («nomen omen», davvero...) di una gamba acciaccata, e da Giuseppe Zeno/Dave, che, se latita sul piano del canto, almeno ci mette il «physique du rôle».   Accanto a loro una pattuglia di attori di lungo corso (da Antonio Ferrante a Mario Santella, da Giuseppe De Rosa a Mimmo Esposito) che, infatti, sono quelli che dimostrano la sintonia maggiore con la dimensione propriamente teatrale. La sequenza più intrigante (un'evidente citazione di «Casablanca») è quella in cui Marisa Laurito canta accompagnata al piano dal nero Charlie Jacobs Cannon. Occorrevano altre invenzioni del genere.                                              Enrico Fiore(«Il Mattino», 25 aprile 2013)