CONTROSCENA

Gl'insulti... Fallaci della Guerritore


Sono appena tornato da Firenze, dove, nella Sala delle Colonne del Teatro della Pergola, l'Accademia della Crusca, nella persona del suo presidente, Nicoletta Maraschio, mi ha tributato un pubblico riconoscimento, consegnandomi a titolo simbolico una copia della ristampa anastatica della prima edizione del vocabolario della Crusca (datata 1612) per - mi hanno scritto - «il suo importante contributo al Convegno organizzato all’Accademia della Crusca nel marzo del 2011 in occasione delle celebrazioni per i centocinquant'anni dell'Unità italiana» e per «il rilevante apporto che lei ha dato e continua a dare al teatro e a Firenze con la sua intensa attività giornalistica e saggistica».   Cito quanto sopra perché mi pare che possa essere la migliore risposta alla signora Monica Guerritore. La signora Guerritore - in merito alla mia recensione (vedi il post 701) del suo spettacolo «… Mi chiedete di parlare», dedicato a Oriana Fallaci e presentato al teatro Diana di Napoli dal 24 aprile al 5 maggio scorsi - ha inviato a questo blog due «commenti» (il primo dei quali replicato su Facebook) che - peraltro scritti in un italiano che definire approssimativo è solo un generosissimo eufemismo - si riducevano a isteriche sequele d'insulti stupidi e volgari, dettati, con ogni evidenza, dalla rabbia per aver ricevuto un giudizio negativo.   L'argomento (anche questo è un eufemismo) che la signora Guerritore ha opposto alle mie osservazioni consiste nel fatto che, a suo dire, legioni sterminate di spettatori si sono entusiasmate e commosse dinanzi a «… Mi chiedete di parlare», cogliendone tutte le sfumature culturali e psicologiche mentre io, «ignorante» e «sciatto», non ho saputo fare altro che offrire «il livore di un maschio vecchio che non ci sta ad accogliere un'opera dell'intelletto di una donna».   Senonché, è ovvio, il fatto che molte altre persone abbiano apprezzato lo spettacolo della signora Guerritore non costituisce una prova dell'infondatezza delle mie considerazioni. Altrimenti, stando al ragionamento della mia interlocutrice, dovremmo concluderne che - siccome, certamente, si vende di «Chi» un numero di copie infinitamente superiore a quello delle copie che si vendono della «Divina Commedia» - Alfonso Signorini è meglio di Dante Alighieri.   Allo stesso modo, s'intende, non costituirei una prova della fondatezza delle mie considerazioni se - scendendo sullo stesso terreno della signora Guerritore - mi vantassi di tutti gli spettatori che da anni e anni mi manifestano la loro stima, a voce e per lettera, nei teatri e per strada, e di tutti gli studenti che svolgono la tesi di laurea basandosi, per l'appunto, sui miei saggi e sulle mie recensioni.   Ma lasciamo perdere. Siamo, per l'ennesima volta, di fronte alla banale e ormai noiosissima contraddizione del teatrante per il quale sei un genio e un angelo se scrivi bene del suo spettacolo e diventi immmediatamente un imbecille e un diavolo se ti azzardi a scriverne male. Mettiamoci d'accordo, allora.   La signora Guerritore, che oggi m'insulta, in passato mi ha gratificato di tutt'altre opinioni dinanzi alle mie recensioni favorevoli: tanto è vero che due di quelle, relative a «Carmen» e a «La signora dalle camelie», risultano bellamente (e integralmente) pubblicate nella rassegna stampa del suo sito ufficiale. Che succede, sono un anno il dottor Jekyll e l'altro il signor Hyde, un anno faccio il femminista illuminato e l'altro il misogino becero?   Forse, negli atteggiamenti di certi teatranti un pizzico di serietà non guasterebbe. Anche perché non mi sembra che il teatro se la passi molto bene, e non è che se ne possano risolvere i problemi illudendosi di star costruendo chissà quali monumenti del sapere in platee - per intenderci - sempre più anziane, ignare e sonnolente. Alla «prima» di Monica Guerritore (e di esperienze del genere ne faccio con frequenza crescente) era seduto accanto a me un signore che ha dormito dall'inizio alla fine dello spettacolo, salvo applaudire, freneticamente, al riaprirsi del sipario per i ringraziamenti delle attrici. Al contrario di me, aveva davvero visto e capito tutto.                                          Enrico FioreP.S. Alla signora Guerritore, che pretende d'impartire lezioni in fatto di cultura, vanno rivelate almeno due cose: 1) per quanto riguarda Dante (vedi il «commento» replicato su Facebook), le mie considerazioni si collegavano a ciò che, nel merito (e nell'ambito della critica storica), hanno sostenuto altri «sciattoni» che si chiamano Erich Auerbach, Charles Singleton e, restando a Napoli, Vittorio Russo; 2) per quanto riguarda il verso che mi s'invita a farmi tradurre (vedi, ancora, il commento replicato su Facebook), andava scritto senza l'accento sulla «e» di «est» e sulla «a» di «pas», mentre, riferendosi senz'alcun dubbio a «vue», l'aggettivo «etranges» (così nel commento della signora Guerritore) andava declinato al singolare e con l'accento acuto sulla prima «e»: insomma, doveva essere «étrange».