CONTROSCENA

Franca Rame, il teatro come impegno


Una «mamma fricchettona» denunciata per abbandono del tetto coniugale dal marito, che si preoccupa soltanto delle avventure di Heidi in tivvù, e dal figlio, un ingrato «estremista». Una casalinga chiusa a chiave dal consorte e, nella prigione stessa, assediata contemporaneamente dal cognato paralitico ma voglioso, da un «porcone» telefonico e da un dirimpettaio guardone. Una donna che resta incinta per colpa del compagno egoista e finisce preda dei medici «obiettori» e del «cucchiaio d'oro» di turno. E infine una novella Medea, che, rispetto a quella di Euripide, uccide i figli per liberarsi dal «basto di legno duro» messo dalla società al collo della donna «per meglio poterla mungere e meglio poterla montare».   Ricordate? Sono le protagoniste di «Tutta casa, letto e chiesa», e incarnano, al meglio, le diverse facce della complessa personalità d'autrice e attrice di Franca Rame, spentasi ieri, a 84 anni, nella sua casa milanese di Porta Romana, dove già, il 19 aprile dell'anno scorso, l'aveva colta un ictus.   Nata a Parabiago nel '29, Franca Rame ebbe che fare col teatro fin da bambina, quando - insieme con la compagnia capeggiata da suo padre Domenico - girò in lungo e in largo per le piazze e i palcoscenici di fortuna della Lombardia e del Piemonte. Poi, nel '50, lasciò quelle pratiche da Commedia dell'Arte per diventare attrice di prosa e di rivista. E brava e bellissima com'era, già dall'anno successivo si segnalò fra le migliori soubrette dell'epoca: prendendo parte con Tino Scotti a «Ghe pensi mi» di Marcello Marchesi, del quale, nelle due stagioni seguenti, interpretò anche «I fanatici» e «Papaveri e papere».   La svolta, e svolta radicalissima, nel '54: sposa Dario Fo, dandogli l'anno dopo il figlio Jacopo. E da quel momento, diventa, nel vero senso della parola, l'altra metà dell'anima e del cervello di Dario, scrivendo insieme con lui non pochi testi e affiancandolo da coprotagonista in quasi tutti i suoi spettacoli. Il primo frutto della svolta in questione venne nel '62, quando - dopo aver portato al successo i paradossi brillanti di commedie quali «Chi ruba un piede è fortunato in amore» e «Isabella, tre caravelle e un cacciaballe» - la coppia abbandona «Canzonissima» per protestare contro la censura imposta alle sue scenette politiche.   Per Franca Rame cominciò, così, l'impegno militante, addirittura a sinistra del Pci. E usciti pure dal circuito dell'Eti, lei e Dario Fo fondarono prima il collettivo teatrale «Nuova Scena» e poi «La Comune», il gruppo con cui percorsero da cima a fondo l'Italia rappresentando, nelle fabbriche e nelle scuole occupate, spettacoli di satira e controinformazione politica come, tanto per citare solo due titoli, «Morte accidentale di un anarchico» e «Non si paga!».   Invece lo pagò, Franca, quel suo impegno, e sul proprio corpo: nel '73 dei teppisti di destra, per punirla dell'attività svolta nelle carceri con «Soccorso Rosso», la sequestrarono, la violentarono, la tagliarono con una lametta e la bruciarono con le sigarette prima di abbandonarla senza sensi in un parco. Ne nacque, due anni dopo, il lancinante monologo «Lo stupro»: «Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie. È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro delle bestie schifose».   Ma Franca Rame non si fermò, il suo impegno politico continuò sul filo di una coerenza e di un'intransigenza esemplari. Nel 2006 venne eletta senatrice con l'Italia dei Valori, e appena diciannove mesi dopo abbandonò Palazzo Madama prendendo in prestito, nella lettera di dimissioni, le parole del suo amico Leonardo Sciascia: «Non ho, lo riconosco, il dono dell'opportunità e della prudenza, ma si è come si è». E quella coerenza e quell'intransigenza, del resto, non l'abbandonarono mai - com'è ovvio - anche sul palcoscenico.   Tra il '69 e il '71 interpretò, e stavolta senza Fo, spettacoli memorabili come «L'operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone», «Legami pure, tanto spacco tutto lo stesso» e «Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa, quello non è il padrone?». E ne «L'anomalo bicefalo» suo e di Dario, l'ultimo allestimento con cui venne a Napoli, nel 2004 si calò, sul palcoscenico del Bellini, nei panni di un'improbabile attrice, fanatica sostenitrice di Forza Italia, che a un certo punto diventava Veronica Lario, la moglie del Berlusca.   Un lungo applauso, con i deputati tutti in piedi, ha salutato Franca Rame alla Camera, e un minuto di silenzio le ha tributato il Senato. Io la rivedo mentre - un anno dopo la fine tragica di Giuseppe Pinelli, in una Milano blindata - al termine della rappresentazione di «Morte accidentale di un anarchico» levava in alto il pugno chiuso cantando «L'Internazionale».                                                  Enrico Fiore(«Il Mattino», 30 maggio 2013)