CONTROSCENA

Se l'Africa strizza l'occhio a Brecht


Il presidente di un imprecisato Paese africano incontra uno speculatore francese, il signor Nick, allo scopo di stabilire il guadagno che verrà ad entrambi da un progetto di estrazione dell'oro; e, per allietare la serata, invita a palazzo una compagnia di artisti. Mal gliene incoglie, però. Gli artisti - spalleggiati dalla battagliera ministra della cultura - prendono a scaricargli addosso l'intero catalogo dei problemi da lui messi fra parentesi: dalla prostituzione minorile al paludismo, dagli incendi nella savana all'escissione, dalla disoccupazione all'Aids.   Questo, in estrema sintesi, l'argomento di «Une nuit à la Présidence», il testo di Jean-Louis Martinelli scritto in collaborazione con Aminata Traoré e presentato al Mercadante, per la regia dell'autore, in chiusura del Napoli Teatro Festival Italia. E dunque, siamo molto lontani dalla splendida «Médée» che Martinelli portò al Festival nel 2008.   Allora gli attori africani da lui diretti si giovavano di un testo forte, qui restano prigionieri di un copione che più didascalico non potrebb'essere, roba che, al confronto, i drammi didattici di Brecht fanno la figura di barzellette. Si procede, per intenderci, sulla base di battute come la seguente: «Non possiamo essere complici. No, non possiamo accompagnare coloro che succhiano il sangue dei nostri popoli e che vivono del sudore dei nostri popoli».   Ora, non v'è dubbio che uno spettacolo del genere in Africa possa essere utile, ma al Mercadante, per la verità, produceva un effetto piuttosto curioso quando gli attori neri ci si rivolgevano direttamente dal proscenio, come se fossimo anche noi africani, e c'invitavano a prendere coscienza e a ribellarci contro lo sfruttamento da parte dei colonialisti delle risorse minerarie ed energetiche di nostra proprietà.   Nessun dubbio, è ovvio, pure sulla bravura e sull'impegno degl'interpreti. E tuttavia, parliamo di un'altra delusione dopo quelle procurate da Brook e da Arias. I grandi nomi non sono di per sé una garanzia.                                                   Enrico Fiore(«Il Mattino», 24 giugno 2013)