CONTROSCENA

Un filosofo fra Testori e Pirandello


Mentre nella Sala Assoli assistevo a «Fuori», lo spettacolo che Renato Carpentieri ha tratto dal romanzo «À la porte» di Vincent Delecroix, mi son venuti in mente Testori e Pirandello: in particolare, il Testori di «Conversazione con la morte» e il Pirandello di «Enrico IV».   Infatti, abbiamo qui un professore di filosofia che, rimasto fuori di casa per la disattenzione di un suo allievo, prende ad affastellare senza sosta incubi, pensieri e parole: immagina d'incontrare il padre e la figlia morti da tempo, riflette amaro sulla nostra epoca manieristica e conformistica, sproloquia sul vicino becero, sul portiere che ama solo i film di kung fu, sulla sorella che insiste a fargli da madre... insomma, su un mondo in sfacelo, abitato, ormai, solo da un'umanità ridotta a un branco di bestie. E in tutta evidenza, siamo di fronte a una dimensione mentale.   Non a caso, l'appartamento del professore si palesa alla fine come un manicomio. È, dunque, una metafora, che in quanto tale rimanda, per l'appunto, al Testori di «Conversazione con la morte», il quale anela all'«ingresso nella terra / che non mente e non tradisce più; / quella terra che un tempo ci era stata promessa / e che poi ci fu tolta / senza che un'altra ce ne venisse aperta davanti».   Pirandello, poi, c'entra di diritto perché il professore s'illude di sottrarsi allo «sradicamento» identificandosi con il ritratto di Cornelius Van der Geest dipinto da Van Dyck. Un ritratto ch'è l'equivalente perfetto della «tonaca santa» di cui parla Enrico IV: la forma unica, per sempre data e per sempre riconoscibile, in cui l'uomo tenta disperatamente d'imprigionare la disgregazione continua della vita.   Bravissimo, Carpentieri, e ben affiancato da Valeria Luchetti e Stefano Patti. E commuove e conforta la sua fedeltà, incrollabile, al teatro d'impegno intellettuale.                                                Enrico Fiore («Il Mattino», 25 ottobre 2013)