CONTROSCENA

Albertazzi fra Calvino e autobiografia


Giorgio Albertazzi - protagonista dello spettacolo che, ispirato alle «Lezioni americane» di Calvino, ha aperto, per la regia di Orlando Forioso, la stagione del teatro Troisi - parla, insieme, della leggerezza, tema della prima delle «Lezioni», e del suo contrario, la pesantezza. Ed ecco che, giusto, mi torna subito in mente il passo che, ne «La persuasione e la rettorica», Michelstaedter riferisce al peso: «[...] sempre lo tiene un'ugual fame del più basso, e infinita gli resta pur sempre la volontà di scendere. [...] La sua vita è questa mancanza della sua vita».   Infatti, il teatro è simile al peso di Michelstaedter: la sua maledizione consiste nel fatto che per sua natura è costretto a fingere la vita nel momento stesso in cui vive. Ma Giorgio Albertazzi - ricorrendo da un lato alla propria autobiografia e dall'altro al richiamo dei più brucianti drammi del nostro tempo, come quello delle Torri Gemelle - trasforma la maledizione in grazia. Poiché mette al bando la paralisi della pura rappresentazione e fa di quest'ultima un pretesto per reinventare la vita.   In altri termini, non potrebbe darsi (in conseguenza del suo continuo entrare e uscire dalla recitazione) interprete migliore di lui per uno scrittore, appunto Calvino, a proposito del quale Contini parlò di «realismo esistenziale» e Vittorini di una molteplicità d'interessi che «può prender forma sia in un senso di realismo a carica fiabesca sia in un senso di fiaba a carica realistica».   Spesso Albertazzi - assistito dalla violoncellista rumena Anca Pavel e da Stefania Masala nel ruolo di un'allieva - s'allontana da Calvino per riproporre i propri celebri cavalli di battaglia: «La pioggia nel pineto», il Canto di Paolo e Francesca, citazioni da «Memorie di Adriano» e da «Amleto». E tutto si tiene, allora: dal momento che una delle più rapinose reinvenzioni della vita è la fiaba, torniamo in tal modo al cuore profondo della scrittura di Calvino. Ma ci torniamo, appunto, con passo leggero, senza la pesantezza del conferenziere.   Sì, è proprio vero quel che già in altre occasioni ho avuto modo di osservare: la storia più interessante del teatro italiano di oggi è, riguardo agli attori, la storia di Giorgio Albertazzi. Se, come mi disse una volta, Edipo «cerca nella morte quella verità che nella vita non c'è», lui, Albertazzi, cerca nella morte dell'attore quella verità che nella vita del teatro non c'è.                                                       Enrico Fiore(«Il Mattino», 27 ottobre 2013)