CONTROSCENA

Il Natale di Eduardo in forma di assolo


«Natale in casa Cupiello» - lo spettacolo del Piccolo Teatro in scena al Nuovo - è interessante non tanto per l'originalità dell'allestimento (un solo attore interpreta tutti i personaggi principali della celebre commedia) e per la bravura di quell'attore (Fausto Russo Alesi), quanto (e soprattutto) perché rimanda alla questione decisiva, e tuttora non adeguatamente approfondita, dell'influenza che su Eduardo esercitò Pirandello.   Fa pensare a Pirandello già il fatto che Russo Alesi, con questa sua performance, si apparenta almeno simbolicamente al Vitangelo Moscarda di «Uno, nessuno e centomila». Ma, poi, c'è il particolare determinante che «Natale in casa Cupiello» finisce a rivelarsi - l'ho scritto più volte - come una sorta di equivalente napoletano dell'«Enrico IV». Basta, in proposito, considerare i personaggi protagonisti delle due opere.   Entrambi sono impegnati nel disperato tentativo d'imprigionare la vita - ch'è un susseguirsi di momenti di disgregazione, per giunta slegati l'uno dall'altro - in una forma unica, per sempre data e per sempre riconoscibile. Per l'Enrico IV di Pirandello quella forma è il ruolo dell'imperatore medievale, che lo mette al riparo dalle offese del tempo, e per il Luca Cupiello di Eduardo è il presepe, che gli suggerisce lo schema rigido in cui inquadrare, proprio come tanti pastori, i componenti della sua riottosa famiglia.   Ma la vita, puntualmente, infligge delle «sorprese» (così le chiama Enrico IV) che mandano in frantumi la corazza protettiva prescelta da questi antieroi: saranno, rispettivamente, per lo stesso Enrico IV l'uccisione (vera) da parte sua di Tito Belcredi, l'amante della donna che aveva creduto votata a sé, e per Luca Cupiello la scoperta che la figlia Ninuccia tradisce il marito che lui le ha imposto.   Ebbene, mi sembra che lo spettacolo di Fausto Russo Alesi illumini tutto questo come meglio non si sarebbe potuto. Vedi i segni che qui elenco in rapida sintesi: la scena di Marco Rossi (un appartamento disastrato in corso di restauro), il casco protettivo da operaio edile indossato reiteratamente dall'interprete e, soprattutto, le didascalie e i commenti con cui vengono introdotti o connotati i vari personaggi.   In breve, quelle didascalie e quei commenti servono proprio ad offrire ai personaggi medesimi, ridotti dalla dissezione del testo originale a pure e semplici monadi, un'identità, se non altro narrativa, che costituisce per l'appunto la forma di cui sopra. Da non perdere.                                                    Enrico Fiore(«Il Mattino», 1 novembre 2013)