CONTROSCENA

"Titanic", l'avanguardia oltre se stessa


Quando nell'aprile dell'84 lo spettacolo debuttò al Nuovo, apparvero subito evidenti, e addirittura dichiarati, i referenti che Antonio Neiwiller aveva assunto per il suo «Titanic the end»: da un lato, ovviamente, «La fine del Titanic» di Enzensberger e dall'altro «La classe morta» di Kantor. E quei referenti si ritrovano (e, adesso, risultano ulteriormente significanti) anche nel riallestimento di «Titanic the end» che Salvatore Cantalupo, uno degli interpreti dell'edizione originaria, propone nella Sala Assoli a vent'anni dalla scomparsa prematura di Neiwiller.   Basterebbe, in proposito, por mente all'attacco, con lo stesso Cantalupo nel ruolo di regista in scena che fu del maestro polacco e gl'interpreti immobili sotto una specie di lenzuolo funebre, in uno spazio invaso dalla nebbia e dalla musica iterativa di Philip Glass. Forse che non si tratta di un richiamo alle constatazioni decisive di Enzensberger: «Il tempo degli esperimenti è finito» e «Qualsiasi avanguardia d'oggi è necessariamente ripetizione, inganno, illusione»?; e la sirena che di tanto in tanto spinge gl'interpreti al parossismo non è, insieme, quella d'allarme del Titanic che affonda e l'equivalente del valzer che spinge i vecchi decrepiti de «La classe morta» a levarsi in piedi nei banchi, nel tentativo disperato di mutare quel valzer in una «forma» che li salvi dal nulla?   Ecco perché, qui, viene sistematicamente battuta in breccia la parola come puro parlare: dalla bocca degli attori escono solo borborigmi o un iroso e altrettanto incomprensibile grammelot; e i fogli scritti si riducono a fazzoletti utilizzati per detergere il sudore o per salutare partenti diretti chissà dove. Il discorso può articolarsi appena sotto specie dei geroglifici misteriosi che gli attori medesimi si disegnano sulla faccia. E siamo, dunque, alla sottolineatura estrema di quanto Enzensberger volle dirci servendosi di quelli che definì «vocaboli senza aroma».   Finisce, «Titanic the end», in un vagare di ombre proiettate da dietro sul sipario chiuso, ovvero con la denuncia dell'inutilità del teatro come rappresentazione e, perciò, col trionfo di un'avanguardia che va oltre l'avanguardia. E bravissimi, al fianco di Cantalupo, sono Carmine Ferrara, Massimo Finelli, Amelia Longobardi, Ambra Marcozzi, Claudia Sacco, Sonia Totaro e Chiara Vitiello. Insomma, questo, almeno fino a ora, è lo spettacolo più bello della stagione.                                                       Enrico Fiore(«Il Mattino», 13 novembre 2013)