CONTROSCENA

Se la purga di Bebé la beve il papà


Veniamo a «La purga», lo spettacolo di Arturo Cirillo in scena al Mercadante e tratto dall'atto unico di Feydeau «On purge Bébé (La purga di Bebé)», datato 1910. Secondo Cirillo, si tratta di un testo in cui sono rintracciabili, fra l'altro, la follia, il teatro dell'assurdo e Vitrac. E non appena mi son trovato di fronte a questa peregrina e pretenziosa lettura, ho fatto all'istante un vertiginoso salto indietro nel tempo, tornando all'anno di grazia 1977.   Fu l'anno in cui tal Roberto Marcucci mise in scena, per l'appunto, un allestimento de «La purga di Bebé», protagonisti Bianca Toccafondi, Carla Macelloni e Gianni Musy. E nelle sue note di regia levò il proclama: «Follia! Ecco la parola-chiave che ci apre le porte alla comprensione dell'universo chiuso in cui si muove l'ultimo Feydeau», mentre, nel resto del programma di sala, ricorrevano, nientemeno, i nomi di Strindberg, Ibsen, Beardsley e Klimt.   Come si vede, da Roberto Marcucci ad Arturo Cirillo le cose (voglio dire le elucubrazioni narcisistiche e pretestuose) non sono cambiate. E continuano a produrre lo stesso risultato: niente delle loro implicazioni teoriche è dato riscontrare sul palcoscenico. Nel caso di Cirillo, la regia si limita, com'era prevedibile, a puntare sparata sull'esasperazione della scatologia.   Infatti, la commedia di Feydeau ruota intorno al rifiuto di Totò di bere la purga di cui nel titolo. E tale rifiuto piomba come una vera e propria bomba nel bel mezzo delle trattative che suo padre, il produttore di apparecchi igienici Follavoine, sta conducendo col funzionario di stato Chouilloux per la fornitura all'esercito dei propri vasi da notte spacciati per infrangibili. Finirà che a bere la purga saranno Chouilloux e Follavoine.   Ebbene, Cirillo, dopo aver proceduto al taglio di personaggi e scene del copione originale, mette in campo le seguenti invenzioni capitali: cinque gabinetti al posto delle sedie, tre scopini al posto del centrotavola, innumerevoli pitali nella credenza e due peti di madame Chouilloux. E per sottolineare ulteriormente che - ad onta delle solenni dichiarazioni programmatiche - qui si vuole soltanto strappare qualche facile risata in più, lo stesso Cirillo sostituisce le isole Ebridi con le Hawaii, affida a un adulto il tormentone di quel bambino di sette anni («J'veux pas me purger! (Io non voglio purgarmi!») e sciorina battute del tipo: «Se non fa la serva, a che cosa serve?».   La «follia», forse, sta nel fatto che fra gl'interpreti - accanto a Cirillo (Follavoine) recitano Sabrina Scuccimarra (sua moglie Julie), Luciano Saltarelli (Totò), Rosario Giglio (Chouilloux) e Giuseppina Cervizzi (la cameriera Rose e madame Chouilloux) - la pronuncia del cognome Follavoine («Follavuàn») diventa alternativamente «Follavàin» e «Follòvin». Mentre nel programma di sala si parla di «Fallavoine».                                                   Enrico Fiore(«Il Mattino», 12 dicembre 2013 - www.controscena.net)