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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Messaggi del 01/12/2012

"Grease" e rock'n'roll stagionati

Post n°636 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da arieleO
 

A volte (anzi, ormai piuttosto spesso) ritornano. Senonché - e purtroppo per loro e per noi - scarseggiano le materie prime (leggi gl'interpreti e i soldi) necessarie per procedere ai lifting del caso. La riprova ce la fornisce, all'Augusteo, l'ennesima nuova edizione del musical «Grease», sempre prodotta dalla Compagnia della Rancia e sempre diretta da Saverio Marconi.
   Rispetto all'edizione originale, che debuttò al Teatro Nuovo di Milano il 4 marzo dell'anno di grazia 1997, adesso non c'è più Lorella Cuccarini, non c'è più Giampiero Ingrassia, non c'è più Amadeus, non c'è più Renata Fusco, non c'è più l'orchestra dal vivo. Che facciamo, ci accontentiamo della storiella d'amore fra Danny Zuko e Sandy Alston, i due studenti della Rydell High School resi noti, soprattutto, dall'interpretazione che ne diedero John Travolta e Olivia Newton-John nel film diretto da Randall Kleiser?
   Certo, restano le canzoni, sostenute dalle trascinanti coreografie di Franco Miseria: un'autentica orgia di «terzine» e degl'irresistibili ritmi binari che il vecchio boogie prestò al neonato rock'n'roll nel clima disteso, appunto, degl'«imbrillantinati» anni Cinquanta. Ma è altrettanto certo che pesa come il proverbiale macigno l'assenza di Mal, chiamato nella citata edizione originale a rievocare, nientemeno, il Frankie Avalon che nel film eseguiva incomparabilmente «Beauty School Dropout».
   Intendiamoci, non ho alcuna difficoltà ad aggiungere che, comunque, anche l'allestimento odierno del celeberrimo hit di Jim Jacobs e Warren Casey è accurato e gradevole, grazie alla solita perizia tecnico-formale garantita, giusto, dalla Compagnia della Rancia e dal suo regista stabile Marconi; e non disprezzabili, almeno sotto il profilo dell'impegno, risultano i protagonisti Riccardo Simone Berdini (Danny) e Serena Carradori (Sandy). Parliamo, però, di un prodotto commerciale di routine, e per giunta datatissimo sul piano dello stile.
   Ci si poteva augurare che la Compagnia della Rancia, avendo deciso di varare questa nona edizione di «Grease», puntasse su un cast di giovanissimi, i quali - oltre ad assicurare entusiasmo ed energia maggiori e più genuini - sarebbero stati in sintonia (se non altro sul versante figurativo) con l'epoca di cui si racconta. Avremmo, così, assistito a un'operazione, non a un semplice e stanco ricalco.
   Invece, ci tocca scorgere fra quei liceali addirittura qualcuno che si avvicina ai fatidici «anta». E come esempio di ripetente cronico è davvero da Guinness.

                                               Enrico Fiore

 
 
 

Paravidino, la vita e la morte fra parentesi

Post n°637 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da arieleO
 

«Per togliere alla morte la sua barbarie, ne feci il mio scopo; e feci della mia vita l'unico modo conosciuto di morire».
   Non so se il medico Mariapia Cristofolini conoscesse questa dichiarazione di Sartre. Ma certo la fece propria, mettendola in pratica, quando - ammalatasi di cancro - decise di scrivere il diario della sua agonia. E la prova lancinante di una simile appropriazione sta nello spettacolo, appunto «Il diario di Mariapia», che Fausto Paravidino presenta alla Galleria Toledo: perché Paravidino è il figlio di Mariapia e fu lui, materialmente, a scrivere quel diario ascoltando le parole della madre.
   Non a caso, infatti, il prologo chiama in causa la Elena e il buffone dello Shakespeare di «Tutto è bene quel che finisce bene». Poiché tenere un diario significa mettersi in scena, e la scrittura, il «gioco insensato» di Blanchot, significa a sua volta mettere fra parentesi la vita e, dunque, sia la malattia, che della vita costituisce una pausa, sia la morte, che ne costituisce il travestimento estremo.
   Non c'era che il teatro, allora, per parlare di quell'ultimo mese e mezzo di Mariapia e del diario che lo riassunse: il teatro che, per sua natura, è costretto a fingere la vita nel momento stesso in cui vive e di fatto muore della sua vita, giacché - per ripetere le parole di Michelstaedter nel ricordo delle pratiche sublimi di Carmelo Bene - «la sua vita è questa mancanza della sua vita».
   Di qui, nello spettacolo in questione, il moltiplicarsi dei ruoli affidati a due degli attori e la sfacciata esibizione degli elementi più vistosi del trucco, tipo i baffoni che a un certo punto s'appiccica Paravidino. E adesso, si capisce, passa in secondo piano la bravura dello stesso Paravidino e, accanto a lui, di Iris Fusetti e Monica Samassa. Conta che «Il diario di Mariapia» - nell'alternarsi, come nella vita, del dolore e dell'allegria (ah, la penna d'oca rossa usata per scrivere!) - somigli in tutto e per tutto all'«unicum» di Paravidino: una faccia d'angelo e un cuore di tenebra.

                                            Enrico Fiore

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 16/02/2008
 

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