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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Messaggi del 14/12/2012

Viaggio dantesco nel mare di Greenaway

Post n°644 pubblicato il 14 Dicembre 2012 da arieleO
 

Ancora una volta - di fronte a «The seventh wave (La settima onda)», l'azione-installazione di Peter Greenaway che la Fondazione Salerno Contemporanea e la Change Performing Arts presentano nell'altoforno Ex Salid - mi è tornato in mente il passo decisivo di «Andrea o I ricongiunti», il vertiginoso romanzo (non a caso) incompiuto di Hofmannsthal: «La vera poesia è l'arcanum che ci congiunge alla vita, che dalla vita ci separa. Il separare - soltanto se separiamo noi viviamo veramente - se noi separiamo anche la morte è sopportabile, solo quello che è mischiato è orribile».
   Sono stato sempre convinto che proprio in quel passo si trovi la chiave per afferrare il senso profondo de «La tempesta» di Shakespeare. Prospero aveva voluto unire il Tutto: il cielo e la terra, l'anima e il corpo, l'arcano e il quotidiano. Ma riesce a ritrovare la sua dimensione umana, e quindi a vivere davvero, solo quando spezza la bacchetta magica e dà l'addio agli spiriti e ai folletti: solo quando, cioè, tocca l'estrema saggezza, ch'è quella, giusto, di separare l'umano dal divino. E un simile quadro riscontriamo nella creazione di Greenaway, che appunto a «La tempesta» s'ispira.
   Il riferimento, per cominciare, è alla dimensione dell'acqua e, segnatamente, al mare. E non si tratta solo dell'ossequio al fatto che proprio nel mare si consumano la sconfitta e la vendetta di Prospero, ma anche, e soprattutto, della circostanza che il mare, per dirla con Paolo Conte, «non sta fermo mai» e, dunque, si separa in ogni momento da quello che era un momento prima. Di conseguenza, si separa da sé la stessa immagine dell'onda di cui nel titolo, nel senso che non si offre come un «unicum» in sé e per sempre definito, bensì come un fenomeno visivo frantumato in tante monadi sugli schermi disseminati nel tunnel che percorriamo.
   Vediamo, poi, altre monadi costituite da mani e da piedi, forse quelli di un corpo che annega o nuota in apnea, suggerendo la cessazione o la sospensione del respiro. E a un identico traguardo, del resto, giungono le citazioni, oltre che da «La tempesta», da «La ballata del vecchio marinaio» di Coleridge, da «Moby Dick» di Melville e dalla «Quaestio de aqua et terra» di Dante. Basta considerare, al riguardo, come il non meno vertiginoso incipit «Chiamatemi Ismaele» traduca l'ennesima salvifica separazione, quella fra la prigione dell'anagrafe e la scelta di un nome di comodo che, specchiandosi nella vastità del mare, è metafora di un assolutamente libero cercarsi.
   Le porge con efficacia, quelle citazioni, l'attore Andrea Carraro, ch'è il nostro Virgilio nel viaggio dalle certezze pigre ai rischi esaltanti della scoperta. E in perfetta sintonia con esse si pongono gli elementi caratterizzanti i costumi dei vari personaggi, che Carraro indossa a vista nel passare (ancora una frattura, ancora una cesura) da un testo e da un personaggio all'altro.
   Infine, un attimo prima che si chiuda il sipario al termine del tunnel, sentiamo gli ultimi quattro versi del Purgatorio: «Io ritornai da la santissima onda / rifatto sì come piante novelle / rinovellate di novella fronda, / puro e disposto a salire a le stelle». E non poteva darsi epilogo più motivato a quest'evento che accoglie, ad un tempo, l'acutezza concettuale e la leggerezza fantastica: è un epilogo che incarna lo spirito del teatro di sperimentazione nel cui ambito l'evento stesso si colloca. Che cosa significa, se non questo, restare in un altoforno ma con i piedi su un palcoscenico?

                                                         Enrico Fiore

(«Il Mattino», 14 dicembre 2012)

 
 
 

Tiziano Scarpa, o della teatronovela

Post n°645 pubblicato il 14 Dicembre 2012 da arieleO
 

Pubblico oggi quella che, per quanto mi riguarda, è l'ultima puntata di un'incredibile, noiosa e, soprattutto, scontatissima teatronovela.
   Il 6 dicembre scorso ho assistito, nella Sala Assoli di Napoli, alla seconda rappresentazione della commedia di Tiziano Scarpa «L'infinito». Erano presenti, insieme con me e con qualche addetto ai lavori, non più di una decina di spettatori, alcuni dei quali invitati e, quindi, non paganti.
   Il giorno dopo "Il Mattino", il quotidiano a cui collaboro, mi ha riservato per la recensione di quello spettacolo (pubblicata in data 8 dicembre e riportata in questo blog con il post numero 640) appena 32 (trentadue) righe. Ho dovuto, quindi, riassumere drasticamente ciò che penso de «L'infinito», e per quanto riguarda il testo e per quanto attiene alla sua messinscena da parte di Arturo Cirillo: di conseguenza, mi sono limitato a rilevare la sproporzione fra le iperboliche lodi tessute circa «L'infinito» dall'ufficio stampa della Sala Assoli e la modestia di quello che a me era parso di poter individuare leggendo il testo e assistendo alla sua rappresentazione; e ho aggiunto, in tutta sincerità, che non avevo capito le intenzioni né dell'autore né del regista.
   Aggiungo anche, qui, che nessun altro dei critici dei maggiori quotidiani napoletani ha ritenuto di dover recensire lo spettacolo in questione. Forse non sono andati nemmeno a vederlo. E la circostanza significherà pure qualcosa. Ma, invece di apprezzare il fatto ch'ero stato il solo ad occuparmi del suo testo, Tiziano Scarpa ha cominciato a rovesciare su questo blog (pubblicandoli poi sul sito "Il primo amore") tutta una serie di commenti lunghissimi e complicatissimi, cavillosi fino alla maniacalità (vedi il mio post numero 641). E mi ha accusato di averli "cassati", per usare il prezioso termine da lui adoperato, e di mentire quando, per giustificare la loro mancata pubblicazione, ho sostenuto ch'erano di una lunghezza incompatibile con il format di "Controscena".
   Ebbene, confermo che i commenti di Scarpa sono incompatibili, per la loro lunghezza, con il format di questo blog: che indica, è vero, un massimo di 30.000 caratteri per ogni commento, ma, di fatto, ne accetta molti di meno. Infatti, sono andati a vuoto tutti i miei tentativi di pubblicarli, i commenti del mio interlocutore, anche se composti, a suo dire, solo da circa 10.000 caratteri.
   Dunque, il piagnisteo di Scarpa circa una presunta censura da parte mia è assolutamente inutile e ingiustificato. Ma in ogni caso, dove sta scritto che io sarei obbligato a pubblicare le sue sterminate elucubrazioni? Come ho già avuto modo di far osservare a più di un teatrante, le regole del gioco sono al momento le seguenti: il teatrante presenta in pubblico il suo spettacolo e un signore a ciò istituzionalmente delegato, il critico, esprime circa quello spettacolo il suo parere, certo opinabilissimo, al pari di tutti i pareri, ma che, per ovvi motivi, non può diventare l'oggetto di un dibattito infinito. Può dar luogo, secondo le vigenti leggi sulla stampa, soltanto a una rettifica o a una condanna, qualora, beninteso, il critico abbia pubblicato notizie inesatte o si sia spinto sino alla diffamazione.
   Se queste regole vogliamo cambiarle, a farlo io sono dispostissimo. I teatranti non invitino più alle loro "prime" i critici e i critici vadano a vedere gli spettacoli che credono di dover vedere pagando il biglietto come comuni spettatori.
   Ma qui mi fermo, intanto per non diventare prolisso come Scarpa e, soprattutto, perché queste mie parole risultano irrimediabilmente superflue: il fatto decisivo è che io, rispetto alla faccenda sul tappeto, sono indiscutibilmente disinteressato, mentre Scarpa invera alla perfezione il fatidico "Cicero pro domo sua", evidentemente convinto, peraltro, di aver scritto una commedia infinitamente, è proprio il caso di dire, superiore a «La locandiera» del suo conterraneo Goldoni. Però, e con questo chiudo davvero, mi sorge comunque un interrogativo: se Tiziano Scarpa è convinto di essere uno dei più grandi autori teatrali di oggi e di aver scritto con «L'infinito» uno strabiliante capolavoro, perché si preoccupa tanto delle miserabili 32 (trentadue) righe di recensione abborracciate da un imbecille come me?

                                           Enrico Fiore

 
 
 
 
 

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