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Alla ricerca del Texas italiano


Il caso della Regione AbruzzoCome possiamo permettere di distruggere una delle regioni più verdi e belle del nostro bel Paese attraverso un uso indiscriminato del territorio??Come possiamo permettere all' Eni e alla Edison di perforare in tutta la regione senza valutare tutte le conseguenze economiche, ambientali e turistiche che ne deriverebbero??Evidentemente in Italia tutto cio' è permesso.Tratto dal dossier di Legambiente ItaliaL’11 settembre 2001, giorno drammatico per il mondo, sembra aver segnato anche il futuro dellaRegione verde d’Europa: presso il Ministero delle Attività Produttive infatti, la Regione Abruzzo hasottoscritto, in sordina ed in tutta fretta pur di evitare lo smantellamento del Distretto Agip diOrtona (Ch), una intesa con l’Eni finalizzata ad un programma di impianti e di trivellazioni a scopipetroliferi.L’Abruzzo ha così dato avvio ad una stagione di investimenti nel campo minerario che rischia dicompromettere il sogno verde che da decenni la contraddistingue in Italia ed in Europa, l’AbruzzoRegione dei Parchi.La storia delle trivellazioni in Italia nasce, ironia della sorte, proprio in Abruzzo; è nel comune diTocco a Casauria (Pe) infatti, che fu perforato con successo nel 1863 il primo pozzo nazionale. Daallora, il territorio regionale è stato da sempre sottoposto ad esplorazioni e perforazioni tanto che, adoggi, l’intera fascia litoranea e pedemontana, è interessata da concessioni di coltivazioni estoccaggio, permessi ed istanze di ricerca.Ne consegue così che, l’Abruzzo, economicamente più forte, più innovativo e più densamenteabitato rischia di legare in maniera “imprudente” il proprio futuro alle sorti degli idrocarburi.I dati storici testimoniano un forte interesse da parte di diverse compagnie petrolifere che nel corsodegli anni hanno realizzato circa 550 perforazioni a terra, le quali, seppur limitate nelle profonditàdi esplorazione e concentrate in larga parte a cavallo degli anni ’50 e ’60, lasciavano e lascianointravedere un buon potenziale petrolifero: sono infatti ben 87 i pozzi risultati mineralizzati ad olio.È stata così tracciata una nuova geografia, quella dei titoli minerari, purtroppo poco nota alla classedirigente regionale che, in tutte le sue programmazioni e pianificazioni, continua tuttora adaffermare che il futuro dell’Abruzzo passa attraverso la valorizzazione dei territori, dell’agricolturae del turismo.Mai infatti, sino ad oggi, si è parlato di una regione a vocazione petrolifera e tanto meno è statoindividuato un distretto minerario-energetico.Di Abruzzo regione petrolifera si è dunque iniziato a parlare solo negli ultimi cinque anni, incoincidenza delle perforazioni Eni che, estese a profondità prossime ai 5.000 metri, hannodeterminato la scoperta del giacimento di Miglianico (Ch), la cui potenzialità è stata stimata in8.200 barili/giorno e le cui riserve sono state valutate in circa 31 milioni di barili di olioequivalente. Una colonna di petrolio di circa 100 metri di buona qualità e di 34 gradi Api (AmericanPetroleum Institute).È a seguito di questa scoperta che l’Eni, forte dell’assenso di massima rilasciato in maniera“inconsapevole” dalla Regione l’11 settembre 2001, annuncia a gran voce un programma diinvestimenti di oltre 130 milioni di euro e lancia così all’opinione pubblica abruzzese l’immagine diuna Val d’Agri in terra d’Abruzzo!Va registrato comunque che, in precedenza, nella zona di mare antistante Ortona, era già statoaccertato all’interno del permesso off-shore Ombrina Mare, di titolarità della InterGasPiù, ungiacimento di olio con riserve valutate in 19,5 milioni di barili di olio equivalente.La potenzialità petrolifera del territorio costiero si completa infine con la volontà della Edison,titolare del permesso off-shore Rospo Mare, dove per la prima volta fu perforato un pozzoorizzontale, di mettere in cantiere l’ampliamento del campo estrattivo al largo di Vasto (Ch), chegià ora conta una produzione di 6mila barili/giorno.Oggi, da una lettura più attenta dei fatti, si può affermare che, nonostante i proclami e ledisposizioni regionali che miravano ad altri obiettivi, in Abruzzo era in atto, e lo è ancora, una verae propria strategia petrolifera. Inizialmente nota a pochi, essa comincia a collidere con le scelte strategiche da tempo condivise e che hanno destinato importanti territori a parchi, puntato sullosviluppo dell’agricoltura e dei suoi prodotti, valorizzato il turismo costiero e montano e creato ilmarchio di un Abruzzo a garanzia di genuinità e di rispetto del territorio e delle sue diversità.È da questo punto di vista che va inquadrata la vertenza di Legambiente sul progetto di “Centrale ditrattamento idrocarburi liquidi e gassosi”, meglio noto come “Centro oli”, prevista dall’Eni adOrtona; una vertenza che supera i confini locali e che pone l’Abruzzo d’innanzi ad una sceltacruciale che difficilmente potrà far coesistere le ragioni del petrolio con le ragioni di oltre mezzosecolo di economia consolidata fatta di agricoltura e turismo, le sue vere vocazioni.L’Eni, pur non avendo mai reso noto il proprio piano industriale, intende completare il suo ormaichiaro disegno, attraverso la realizzazione di un Centro di primo trattamento olio proveniente daipozzi petroliferi denominati: Miglianico1, con capacità di produzione di 27,74 Sm3/ora (Standardmetrocubo/ora) di olio grezzo e di 4.717 Sm3/ora di gas naturale, e Miglianico2, con capacità diproduzione di 24,22 Sm3/ora di olio grezzo e di 4.958 Sm3/ora di gas naturale.Il Centro oli che, attraverso processi di desolforazione produrrà greggio e gas naturale idonei allacommercializzazione, avrà una potenzialità di 1.150 Sm3/giorno di olio stabilizzato, di 165.000Sm3/giorno di gas e di 15 t/giorno di zolfo, e sarà collegato, per mezzo di gasdotto, alla retenazionale Snam e, per mezzo di oleodotto, al deposito olio costiero.Il deposito costiero, sempre di proprietà Eni, recentemente ampliato ad una capacità di 79.500 m3 è,a sua volta, collegato per mezzo di oleodotto, al terminale della banchina del vicino porto di Ortona,attualmente in fase di ampliamento per un importo di lavori di oltre 60 milioni di euro.L’industria del petrolio, complice una classe politica inadeguata e distratta, sta realizzando il suoprogetto che, mai valutato nella sua complessità, è stato trattato alla stregua di banali concessioniedilizie, così come dimostrato dai contenuti dei pareri rilasciati dai vari enti preposti.Le valutazioni di compatibilità ambientali, fatte singolarmente nel tempo sul porto, sul depositocostiero, sui pozzi e sul centro oli, non hanno pertanto mai valutato appieno le ricadute complessivedel progetto, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico esociale.È per questo motivo che il locale comitato, mosso inizialmente dalla sindrome nimby (not in myback yard) per semplice opposizione alla realizzazione del Centro oli sul proprio territorio, hacatalizzato attorno a sé le ragioni delle tante forze produttive, agricole e turistiche, che costituisconola spina dorsale dell’economia locale.Una economia fondata su produzioni di qualità. Un’area che per bellezza del paesaggio collinaremarino è inserita nell’istituendo Parco Nazionale della Costa Teatina, nota come “Colline delMontepulciano”, paragonabili alle colline toscane del Chianti, e produce il 70% della produzionevitivinicola dell’Abruzzo, dando lavoro e ragione di vita ad oltre cinquemila aziende agricole. Nonè un caso che l’occupazione agricola delle colline teatine, al contrario della tendenza nazionale,abbia avuto in questi ultimi anni un aumento in termini numerici, dimostrando una forte potenzialitàdel settore. In Abruzzo più di un terzo del vino prodotto è a denominazione Doc e Docg, e inprovincia di Chieti, al momento l’area più strettamente interessata dall’affare petrolio, nel 2007 èstato prodotto quasi l’80% della produzione totale regionale. Risulta quindi giustificata la rabbiamanifestata dalle cooperative agricole, dai Comuni delle Città del Vino, dall’Unione dei Comunidella Costa dei Trabocchi e delle Colline Teatine e da tutte le associazioni di categoria agricole, chehanno letto nelle analisi economiche contenute nel progetto Eni del Centro oli, un danno da partedell’insediamento a “totale carico dell’economia agricola locale”.All’agricoltura occorre aggiungere il turismo balneare ed enogastronomico che ha fatto della qualitàterritoriale l’elemento portante della propria offerta.Territori di indubbia bellezza paesaggistica, sottoposti nel tempo a regimi di tutela naturalistica chehanno determinato una rete di aree protette, nucleo fondante dell’Istituendo Parco Nazionale dellaCosta Teatina, rischiano, in barba alle tante bandiere blu che ogni anno vengono attribuite aiComuni costieri, di essere “soffocati”, oltre che dalle attività di trattamento degli oli, anche daltraffico di navi cisterne previste in movimento attorno al porto di Ortona.Al di là di ogni altra valutazione relativa ai danni prodotti alla salute umana ed all’ambiente,puntare sul petrolio resta una scelta politicamente ed economicamente sbagliata; è l’aspetto costibenefici che non convince in quanto, la distruzione dell’attuale tessuto produttivo non sarà maicompensato né a livello di occupazione né a livello di risultati economici, dall’industria petrolifera.Alle valutazioni di carattere generale sull’economia locale, occorre aggiungere valutazioni di meritosull’iter autorizzativo del Centro oli. Balzato all’attenzione dell’opinione pubblica soltanto durantela campagna elettorale delle elezioni comunali di Ortona del maggio 2007, il Centro manifesta unaserie di dubbi che hanno portato enti locali, operatori economici, associazioni ambientaliste e privaticittadini ad una serie di ricorsi amministrativi e di esposti giudiziari. Le argomentazioni sono forti:la non corretta procedura di Valutazione di impatto ambientale, la violazione del Piano regionalepaesistico, la violazione delle norme urbanistiche regionali in tema di variazione di destinazioned’uso di terreni agricoli, la violazione delle norme del Piano di assetto idrogeologico, l’illegittimitàdell’atto di variante dello strumento urbanistico del Comune di Ortona, la violazione dellanormativa Seveso sugli impianti ad incidenti rilevanti, la violazione delle norme in materia diemissioni in atmosfera, la non corretta procedura delle Conferenze di servizio, la non correttaapplicazione dei principi di partecipazione nei procedimenti amministrativi e la violazione dellenorme e dei principi in materia di pubblicità.La superficialità e la leggerezza che ha contraddistinto la vicenda Eni in Abruzzo, regioneinteressata per oltre 3.800 km2, all’incirca il 35% dell’intera superficie regionale, da vicende legateal mondo degli idrocarburi, impongono per Legambiente la conoscenza dei piani industriali di tuttele compagnie petrolifere. Esse stanno determinando, al di sopra di ogni programmazione e controllodemocratico, una trasformazione dell’Abruzzo costiero in distretto minerario attraverso una serie diatti separati (titoli minerari, pozzi di estrazione, centro di trattamento, oleodotti, depositi e porti) chenon consentono una visione organica capace di garantire un futuro alla regione.La trasparenza nel settore estrattivo, inserita nel dicembre del 2007 anche nell’agenda del Summitdel G8 di Berlino attraverso il rilancio della Extractive Industries Transparency Initiative (Eiti),rappresenta per le major del petrolio la migliore forma di collaborazione e confronto con leistituzioni e le comunità locali, unica via di sviluppo, di sostenibilità e di sicurezza.Il giorno nero dell’11 settembre 2001 è coinciso per l’Abruzzo con l’avvio della corsa nostranaall’oro nero: una competizione, a quanto pare, poco chiara, con pochi giocatori e nella totaleassenza di spettatori al seguito. Ma le popolazioni locali da protagoniste hanno già iniziato da tempola vera partita: una partita non giocata nelle stanze dei palazzi ma su un campo da gioco di oltre 10mila km2, l’Abruzzo.Molto altro ancora lo trovate nel file pdf di legambiente.http://www.fonti-rinnovabili.it/attach/963_A_dossierPetrolio2008.pdf