Counselling di Yaris

Le regole della prepotenza


 A scuola parliamo di " Bullismo" quando le prepotenze sono esercitate da coetanei contro altri coetanei. Sono anni che la Scuola è impegnata ad arginare un fenomeno sempre più dilagante;  fenomeno che, se può avere radici nel tessuto familiare di personalità spesso definite " border line", rischia di essere sottovalutato proprio in riferimento ai cambiamenti sociali cui stiamo andando incontro. Così avevo dato inizio a questo post, ponendomi il grave problema dell'aggressività a scuola che sfocia nel "Bullismo". Così avevo iniziato pensando, io stessa, che il problema andasse affrontato partendo da realtà che stanno sempre più  caratterizzando la quotidianità scolastica e che hanno a che vedere con la devianza minorile.Ma, davanti alla possibile analisi della problematica, mi sono arrestata.  Sin dai tempi dell'università mi hanno insegnato che, per un ricercatore, importante è lo sguardo con cui guarda la realtà. Lo sguardo curioso, l'attenzione ai particolari, permette la ricostruzione di elementi significativi più dell'ordinaria interpretazione dei dati raccolti. Si scoprono così, nuovi scenari e nuove dinamiche relazionali. E la prima relazione da sfatare è: Bullismo = Violenza. Ciò che siamo soliti definire " bullismo" è una forma di disagio che può avere un'evoluzione, non necessariamente negativa rispetto alle " forme di prepotenza" che, fin dal primo manifestarsi, presentano segni di trasgressione e devianza, oltre che alle regole imposte, verso i rapporti interindividuali dove viene percepita "una concorrenza". Nelle scuole,  il disagio è avvertito come difficoltà da fronteggiare perché i giovani, evolvendo con la società, sono portatori di difficoltà nuove. La Scuola  deve ancora " comprendere", per portare aiuto, che il disturbo legato al disagio va capito alla  radice: esso "chiede" attenzione, considerazione,  necessità di "essere visto" rispetto alla prepotenza che "si nasconde" nel sotterfugio, nella menzogna,  e cerca luoghi e forme private di contatto, rifuggendo la platea per essere attuata. Come  sa chi opera nei centri di supporto ai minori, il  disagio del " bullo" ha in sè la vergogna del proprio stato, che avverte minoritario rispetto ai suoi pari, contrariamente alla devianza del prepotente che ostenta l'implicita volontà di distruggere e di negare la presenza dell'altro, proprio perchè suo pari. Sono certa che, Oggi, c'è la possibilità e la responsabilità di impadronirsi in maniera nuova del senso di un’esperienza che in passato era affidata ad automatismi punitivi che impedivano di cogliere un senso più alto e più maturo dell' educare  inteso come " buona educazione". Educare è una sfida, sta a noi  "educatori" riscoprirne la responsabilità.