Counselling di Yaris

La fatica del vivere


Giovanni Galletto, psicologo e psicoterapeuta, scrive nel suo libro -  la fatica di vivere -  spesso da fuori non si vede, si potrebbe intuire, forse, in certi sguardi che si abbassano improvvisamente grevi... in un aspetto curato dove, però, qualcosa stride... così il malessere resta chiuso dentro, a scavare nell'anima... La fatica di vivere non è ancora male di vivere: non è patologia, ma una sorta di anonimo grigiore che sovente avvolge la vita - e ancora-  A volte siamo noi stessi che andiamo nella direzione sbagliata, perché là dove la vita ci offre la possibilità di avere qualche spazio per fermarci, per riflettere, per pensare, noi scappiamo impauriti perché non siamo più abituati a guardarci dentro.Una questione, quella del guardarsi dentro che già Sant'Agostino descriveva così: Occorre conoscere se stessi, andare alla ricerca di quelle “in-formazioni perdute” che ci costituiscono nel profondo e in cui rintracceremo il “progetto”. Ma, sovente, “gli uomini se ne vanno ad ammirare gli alti monti e i grandi flutti dei mari i larghi letti dei fiumi e l'immensità dell’oceano e il corso delle stelle; e trascurano se stessi” 
Addomesticati a porci domande e a trovare risposte, siamo catapultati in un mondo che ci è estraneo nel quotidiano, estranea quella fatica che accomuna i più e che oscura le persone proiettandole nell'immaginario.Immaginiamo luoghi, persone, costruiamo filtri, ci proiettiamo nel mondo come vorremmo che fosse cercando spazi di sopravvivenza dove ci concediamo il lusso di un'interiorità addomesticata. Si, perché, in fondo, anche il dolore va addomesticato per renderlo percettibile e percepibile, per non lasciarsi sopraffare da esso.Perché doloroso è entrare nelle stanze dell'interiorità, richiamare ricordi, indurre riflessioni, ricucire strappi, lenire ferite, un passaggio in cui il "lavoro su di sé" è determinante.Poi, forse, può venir fuori la richiesta di aiuto del counsellor o dello psicoterapeuta: dopo l'ascolto di quella prima richiesta che proviene dall'interiorità e che induce alla riflessione e all'ascolto di quel disagio che bussa alla porta.. Ma quando lasciamo che quel disagio prenda il sopravvento  fino a condizionare le scelte e le decisione del quotidiano, allora sì che la "fatica" aumenta e pesa sulla stessa "vita" trasformandola in una gabbia di pensieri del "dover fare, del dover essere".Poi ci sono le malattie, i lutti, le perdite i distacchi, non meno pesanti da affrontare e non meno faticosi da "assimilare". L'educazione vuole che diventare grandi, voglia dire, contenere, soffocare e fare da sè.Ma il "fare da sé" presuppone la prima fatica: l' auto-trascendimento, il dare senso e significato alle proprie scelte e ai propri gesti che porta inevitabilmente alla seconda fatica: il conflitto della volontà, schiacciata dall'illusorietà del tempo che conduce, inesorabilmente alla terza fatica: sostenere il confronto continuo, accumulando tensione...I bisogni iniziano ad emergere e a farsi sentire e, con i bisogni, i pensieri e i conflitti,  la ricerca di soluzioni a quei pensieri, il tentare di rimettere in "ordine le cose"...Eppure è questo il contesto dove la prima fatica può e deve ricercare la "radice" del proprio andare, senza rifugiarsi in paradisiaci sogni, senza fuggire la realtà. Se la Vita è bellezza - il vivere può essere faticoso- scoprire le radici di questa fatica, può condurre a realizzare la vita stessa..Yaris