Counselling di Yaris

"La ricerca della felicità"


Il primo film americano di Muccino  ridona al cinema americano un respiro differente dal ritmo  a volte troppo coinvolgente ed assoggettante a cui ci ha abituati Hollywood. Questo per dire che durante il film lo spettatore non perde mai la possibilità di rendere oggettiva la sua panoramica sulla storia; in una storia personale  capita di accanirsi in qualcosa che può suscitare in ognuno di noi, a sbalzi, abbattimento o comportamenti ciclotimidi-distruttivi .Cosa rende questa pretesa obiettività nel film di Muccino?Innanzitutto nell'era del digitale e dei panorami falsati, Muccino utilizza i colori naturali, solari, magari accentuandoli e questo fa si  che lo spettatore tenda a una visione più normale, neutra.Secondo: la storia ha un suo inizio e fine, è ovvio, ma soggettivamente siamo solitamente presi nel vivere  la partenza, identificandola con i problemi da risolvere; la corsa, il mare accademico dove i venti soffiano da ogni parte e  il  traguardo lo si identifica con la risoluzione. Ma questa è una manovra di accentrismo e soggettivismo personale. Nel film come in un microcosmo la soluzione si trova nel centro matematico del film o del minutus mundis, così come il sole nel manifesto del film, appare al contatto tra le mani. Esattamente al centro, dove v'è l'incontro tra noi e l'altro.La scena "clou" si svolge in un campetto cementificato di basket sospeso, elevato tra i grattacieli, quindi una posizione distaccata. Non vorrei parlare troppo della trama però, quindi vi invito a vederlo esclusivamente al cinema.Ho visto questo film due volte e considerato la prima volta moramelmente eccepibile, la felicità è divenire un Yuppie, un broker con le conseguenze che si avvereranno nel 2001, e non solo, etc. etc etc.La seconda grazie ad un'amica e una sala degna di rispetto meno claustrofobica rispetto alla prima, ho potuto marcare le perle che vi erano in questo film. Sul regista, al sottoscritto piacciono i film di registi, non posso negare che vi sia stato un salto di qualità rispetto ai stimati film precedenti, di certo Will Smith cambia tutti gli equilibri, il fatto che sia un afro-americano giova al film perchè certi stati d'animo noi europei o bianchi li enfatizziamo in piccoli dettagli ma non abbiamo o mostriamo quel pathos, quella profondità di animo, di sofferenza che affiorano e si esplicitano piuttosto che esternarsi.La musica del film  non è sempre presente, mai invasiva, è come un orchestra che non sottolinea mai dei passaggi critici ma ti accompagna a questi incontri vitali.Questo è un film che segue un fiato diverso dal battito del cuore un pò coercitivo a cui i spot e la televisione ci ha abituato. Mi ha ricordato molto l'umanesimo dei film primi anni 70, tra cui, l'Uomo da Marciapiede.Ancora un invito alla visione esclusivamente al cinema.A prestoNameerf